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Dario Fabbri dopo il golpe fallito: "Kiev attaccherà di più per premere sulla Nato"

Mirko Molteni
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Nella delicata fase attuale del conflitto, mentre gli ucraini tentano di recuperare alcuni territori occupati dai russi, il presidente russo Vladimir Putin affronta una vera ribellione da parte di Evgenj Prigozhin e della sua compagnia di mercenari Wagner. La Nato si appresta al vertice di Vilnius di luglio e, dall’altra parte del mondo, incombe l’ombra colossale della Cina, vero avversario degli Stati Uniti in prospettiva futura. Su questa complessa concatenazione abbiamo intervistato l’analista geopolitico Dario Fabbri, direttore della Rivista “Domino”.

 

 

 

Prigozhin si ribella apertamente al governo russo, dopo mesi di crescenti attacchi al ministero della Difesa per la gestione inefficiente del conflitto. Cosa ci si può aspettare in queste ore?
«Con l’ammutinamento dei mercenari Wagner ci troviamo di fronte a un avvenimento di proporzioni sbalorditive che apre a scenari attualmente difficili da prevedere. Possiamo però già dire che in questa vicenda risulteranno cruciali due fattori. Anzitutto l’atteggiamento dell’esercito russo. Sarà fondamentale capire se le truppe regolari resteranno dalla parte del governo di Mosca o se una parte potrà essere tentata di unirsi ai ribelli. Il secondo fattore è la popolazione. I russi da che parte stanno? Il consenso popolare verso Putin è sempre stato abbastanza solido. Questa vicenda potrebbe essere la prova del nove per capire quale sia la base popolare vera del presidente russo».

La ribellione della Wagner può essere una ritorsione per l’annuncio del ministro della Difesa Shoigu, che annunciando contratti con 20 nuovi corpi di volontari pareva dire: non c’è più bisogno dei wagneriani?
«Sicuramente quell’annuncio si è aggiunto ai vecchi contrasti che Prigozhin ha sempre manifestato da vari mesi a questa parte. Sappiamo bene come il capo della Wagner abbia sempre rinfacciato al ministero della Difesa il sacrificio dei suoi mercenari nelle operazioni più rischiose in prima linea, come a Bakhmut, criticando la condotta di uno Stato Maggiore con cui non si è mai sentito in sintonia. Shoigu, annunciando l’arruolamento di quelle 20 compagnie voleva lanciare a Prigozhin un messaggio: “Voi della Wagner non siete più così importanti”. Una sorta di bluff, poiché è chiaro che nuove compagnie di cosiddetti volontari, magari ragazzi di vent’anni, reclutati a freddo, non hanno nessuna esperienza a differenza dei veterani della Wagner».

Quale sarà l’atteggiamento dell’Occidente?
«Se fossi nei panni degli ucraini, dei polacchi o degli americani mi chiederei se sia o no il caso di intervenire nella crisi interna che sta vivendo la Russia. È probabile prevalga un atteggiamento cauto. Questo perchè, tradizionalmente, di fronte a una lotta tra due fazioni interne al Paese, la popolazione russa tende sempre, per patriottismo, a compattarsi con la parte autoctona e non con quella sostenuta da potenze straniere».

 

 

 

La controffensiva ucraina sembra in stallo, con avanzate locali limitate a pochissimi chilometri.
«L’offensiva ucraina è iniziata con una certa segretezza con azioni come quella di Belgorod, in territorio russo, per distrarre le forze nemiche in vari settori del fronte. In seguito si è svolta in una maniera più convenzionale e ha incontrato le forti resistenze dei russi soprattutto nel Donbass, in particolare nel Donetsk, poiché le forze di Mosca vi si erano trincerate da mesi. Gli ucraini avevano in mente di attaccare anche nel settore di Kherson, ma la distruzione della diga di Nova Kakhovka da parte dei russi ha reso impraticabile per molti chilometri quel settore, permettendo alle truppe di Putin di spostare rinforzi nel Donbass, dove hanno le loro migliori linee difensive».

I russi hanno attirato gli ucraini in un imbuto, facendone confluire gli attacchi dove erano meglio trincerati?
«Sì, nel senso che i russi hanno fatto sì che lo sforzo ucraino si dirigesse su aree dalle linee difensive coriacee, come attorno a Donetsk e Bakhmut».

L’offensiva ucraina sembra scattata prematuramente per scopi politici, per il vertice Nato di Vilnius dell’11-12 luglio. Le truppe di Kiev cercano di avanzare in inferiorità di aviazione, tantopiù che i caccia F-16 americani arriveranno fra vari mesi. È così?
«Io credo che l’offensiva ucraina sia stata, semmai, organizzata e scatenata in ritardo, poiché ce la si aspettava già all’inizio della primavera. C’è voluto però più tempo probabilmente anche per i ritardi nell’arrivo e nella preparazione degli armamenti e delle munizioni occidentali. I russi hanno avuto tempo per preparare trincee e fortificazioni. È plausibile che le azioni offensive ucraine mirino a recuperare territorio per ottenere risultati scenografici da portare al vertice di Vilnius. Più territorio riescono a recuperare, più favorevole sarà la loro posizione in futuri negoziati».

A Vilnius non ci sarà un invito all’Ucraina di adesione all’alleanza.

«Non si può dire se e quando l’Ucraina potrà entrare nella Nato, certamente non accadrà finché sarà in stato di guerra. Però la Nato è comunque già ampiamente presente in Ucraina, con la sua assistenza militare e strategica».

Più la guerra si prolunga, più le opinioni pubbliche occidentali potrebbero stancarsi dei costi del sostegno a Kiev. Le prossime scadenze elettorali in Europa e negli Usa potrebbero influire sul conflitto?

«La questione riguarda quasi solo gli Stati Uniti, perchè se anche i paesi dell’Europa occidentale decidessero di cessare gli aiuti militari ed economici per l’Ucraina, nulla cambierebbe. Se invece fossero gli Stati Uniti, dove i repubblicani, scettici sull’impegno in favore di Kiev, avanzano nei sondaggi in previsione delle presidenziali del 2024, a cessare i rifornimenti di armi e munizioni, allora la guerra finirebbe praticamente subito. Dipende tutto dagli Stati Uniti, l’Europa va a ruota».

Il commissario Ue all’Allargamento Oliver Varhelyi ha affermato che Kiev ha completato solo due riforme sulle sette richieste in prospettiva di un’adesione all’Unione. Quali sono le prospettive di un’adesione di Kiev all’Ue?

«Il percorso di adesione è un po’ in salita. Rimangono forti perplessità soprattutto da Francia e Germania. Inoltre Washington non sta incoraggiando Bruxelles ad ammettere Kiev fra i membri. Un’Ucraina nell’Ue non sembra essere una priorità degli Usa».

Si è detto che il conflitto ha spinto la Russia fra le braccia della Cina. Come giudica il fattore cinese?

«Gli Stati Uniti vorrebbero accordarsi con la Russia in funzione anticinese, ma attualmente la guerra in Ucraina è un ostacolo. Washington sa che la vera minaccia alla sua egemonia globale è Pechino. In casi come questi, per tenere testa al più forte, ci si accorda col più debole, in questo caso la Russia. Ma non sarà possibile finchè dura il conflitto. Perciò gli americani stanno cercando, nelle ultime settimane, di arrivare a una distensione provvisoria con i cinesi, su vari temi come i dazi doganali, la concorrenza tecnologica e la tensione nel Mar Cinese Meridionale. Lo credono possibile approfittando del fatto che oggi la Cina è in difficoltà».

Il segretario di Stato Blinken ha visitato Pechino nei giorni scorsi, ma quasi subito Biden ha dato del dittatore a Xi Jinping: uno sgarbo diplomatico?

«Blinken è andato in Cina cercando quell’accordo provvisorio di cui parlavo. Ma è stato accolto dai cinesi molto freddamente e la reazione di Biden è stata, parafrasando, “cosa vi aspettavate da un dittatore?”. Gli americani, comunque, riproveranno molto presto a riannodare i rapporti coi cinesi, almeno finchè durano la guerra in Ucraina e la tensione in Europa. L’America ha una coperta troppo corta e non può badare con eguale sforzo al teatro europeo e a quello indo-pacifico». 

 

 

 

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