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Propaganda Live e "La Stampa", il vergognoso paragone tra funerali

Giovanni Sallusti
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Chi vive per antitesi, chi è abituato a pensare, e perfino a guadagnarsi il pane, contro qualcosa, che poi è sempre contro qualcuno, non può smettere di colpo. E così la morte di Silvio Berlusconi viene dilatata, sezionata all’infinito, ribadita con zelo nostalgico anzitutto dai suoi critici. Costoro rovesciano l’insegnamento del grande critico cinematografico André Bazin, secondo cui la rappresentazione della morte era letteralmente “oscena”, era qualcosa che doveva rimanere fuori scena. Invece, di fronte alla salma del Cavaliere è tutto un rimettere in scena per alludere, criticare, sminuire.

Diego Bianchi in arte Zoro, ad esempio, ci ha costruito intorno due ore filate del suo “Propaganda Live” su La7. A partire da un telefonatissimo fotomontaggio Berlusconi-Napoleone, per sfottere un post dell’europarlamentare leghista Susanna Ceccardi. E anche il monologo del “Pojana” interpretato dall’attore Andrea Pennacchi esordisce con un incipit piattamente travagliesco: «Saltimbanco, truffapopolo, aveva ipnotizzato Maroni con una finta Champions League del Milan...». E allora quello che vorrebbe essere un momento sardonico e paradossale s’incaglia nel luogocomunismo più spinto, tra il “Silvio Pride” che andava organizzato con «le veline, le letterine, balletti di igieniste dentali con stallieri e il lettone di Putin portato a spalla da quattro Gabibbi» e il «grande evento interattivo: vota anche tu in Parlamento se Ruby Rubacuori è la nipote di Mubarak».

 

BANLITÀ ASSORTITE
È l’armamentario dell’antiberlusconismo più scolastico, è il già detto che viene ridetto per l’ennesima volta, e non a caso la palla passa a un professionista del genere, Filippo Ceccarelli di Repubblica, presentato da Zoro come «il massimo esperto di Berlusconi»: un altro disperatamente aggrappato al trapassato per essere ancora se stesso. Ceccarelli commenta alcuni video di sostenitori del Cavaliere (scegliendo ovviamente con cura i più improbabili) buttando là sentenze svogliate come «siamo abbastanza lontani dalla democrazia», la cifra dominante è la tristezza, l’impressione di un rito che non riesce ad accendersi, ma che continua nella sua ostinata caccia all’uomo che non c’è più. Forse per provare a riprendere la trasmissione, Zoro manda in onda il B-Factor, il casting immaginario per il successore di Berlusconi realizzato montando ad hoc interviste a personaggi che parlano di tutt’altro (non un’apoteosi di compostezza di fronte al lutto, diciamo). 

Non poteva ovviamente non dare il proprio contributo a questa fiera della vanità antiberlusconiana il vignettista della casa Maddox, che in chiusura di puntata ci consegna il disegno di una salma in mare, chiaramente uno dei disgraziati morti al largo della Grecia, che chiede a un pesce: «Ma per noi quanti giorni di lutto nazionale fanno?». «Tre». Vignetta finale: «Tiè, so’ soddisfazioni», con dito medio chiaramente rivolto all’assente onnipresente in trasmissione. La cosa più sgradevole, però, l’aveva detta prima, come spesso le capita, la giornalista tedesca Constanze Reuscher, imbastendo un’analisi funebre comparata con i funerali della «moglie di Romano Prodi», il quale «invece era un uomo di Stato che ha unito il Paese». A parte la castroneria storiografica (Prodi divise il Paese almeno quanto Berlusconi, si chiama bipolarismo), è il doppiopesismo etico che non si placa nemmeno di fronte alla morte, anzi che trova in essa un’ennesima ragione per perpetuarsi, a riproporre un topos del racconto progressista di questi giorni.

 Lo trovavate ad esempio squadernato ieri in una paginata de La Stampa: sotto il titolo programmaticamente manicheo «Flavia Prodi- L’addio dell’altra Italia», Fabio Martini moraleggiava oltre ogni livello di guardia sulle esequie antropologicamente corrette. La cerimonia per la moglie del Professore si sta infatti «svolgendo in un’atmosfera sospesa, tipica dei preliminari liturgici» (mentre evidentemente in Duomo a Milano la liturgia non era di casa). «Il loro saluto è fatto di interiorità», annota Martini, quello di altri no, è tutta esteriorità pubblicitaria da Cologno Monzese, pare suggerire quest’impensabile razzismo estetico del lutto. Fino al paragone esplicito: «Di quell’altra Italia è tornata a far parte anche la Chiesa: dopo aver assecondato per anni un personaggio distante dai propri valori come Silvio Berlusconi, in pochi giorni è come se avesse riallineato le gerarchie». C’è anche un “riallineamento” teologico, di fronte alle morti che sono più morti delle altre. Non sappiamo cosa possano ancora dire, dopo questo, ma siamo sicuri che non si fermeranno. Non possono, la vita in antitesi è l’unica che conoscono.

 

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