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Urbano Cairo? "C'è chi fa già il suo nome": tam-tam sul dopo-Berlusconi

Francesco Specchia
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E se, approfittando proprio del “Kairos” - dell’attimo perfetto, della fissità del destino come quella di una farfalla trafitta da un spillone - il vero erede politico fosse davvero l’Urbano Cairo? La suggestione è sempre più forte, vibra tra gli addetti ai lavori. Non esistendo i vuoti di potere in politica, Cairo, classe ’57, padrone del Torino, del Corriere della sera, di La7 e della Cairo Communication, potrebbe esser pronto a subentrare a Silvio Berlusconi, il suo «maestro assoluto». La cosa è credibile? Non so. Dicono. Ma è sicuramente plausibile. E a paventarlo non sono solo i sorrisi commossi dell’Urbano sopraffatto dai ricordi nello Speciale TgLa7 condotto da Enrico Mentana.

 

E non lo è neanche la stroboscopica intervista ad Aldo Cazzullo sul Corrierone, dove l’editore ricorda i suoi «quattro anni straordinari» da assistente personale di Silvio che- da laureando in Bocconi - placcò, per la prima volta, al volo, sulla soglia dell’ufficio dopo averne stalkerizzato la segretaria («Non è che mi diceva “fai così”, ma era come quei vecchi maestri cinesi che ti consentiva di guardare quello che facevano»). L’intervista con Cazzullo è talmente appassionata che, per qualcuno, l’Urbano la userebbe per lanciare messaggi subliminali a tutti, perfino a sé stesso. Epperò, a proiettare l’ombra del “Faraone” di Alessandria sulle Terre di mezzo berlusconiane, non sono neppure i forsennati gossip che da ieri ingolfano la finanza: per strapparla a Bollorè Cairo starebbe «cercando di mettere insieme una cordata per rilevare Mediaset», scrive il quotidiano Repubblica.

 

 


VERSO MEDIASET
Pure se Repubblica non considera quanto Mediaset non sia tecnicamente scalabile; e che Piersilvio non abbia la minima intenzione di mollare il colpo. Macché. Sono le altre le avvisaglie, le letture in transluce, che stimolano l’immaginario politico dell’Urbano. Il quale, in collegamento video, alle battutelle di Mentana sul suo futuro elettorale, rispondeva non con diniego ma con ammicchi degni di quelli forniti ai cronisti da Ronald Reagan nel ’64, quando gli chiedevano se volesse passare dalla presidenza del sindacato attori a quello degli Stati Uniti d’America. Oddio, evocare Reagan per Cairo, magari è eccessivo. Ma il dualismo con Silvio ci sta tutto. Parliamoci chiaro. Cairo si consuma da sempre nel mito berlusconiano. Nel suo disordine creativo, l’emulazione per Silvio si riflette in ogni arrembaggio imprenditoriale; lo chiamano «Berluschino», lui finge d’irritarsi e fa di tutto per arrampicarsi sulla vetta. Addirittura al matrimonio di Silvio e Veronica, l’Urbano regala loro un suo ritratto. Urbano di Silvio è discepolo, pure se continua a dargli del “lei”.


Per non dire della sua frenesia da tycoon. Nell’editoria, prima sborsa 15 miliardi per acquistare la Giorgio Mondadori e il suo patrimonio di testate mensili di qualità. Poi parte all’assalto dei popolari, infine- dopo il progetto abortito del Sun italiano - scala il Corriere della sera (e Berlusconi lo chiama: «Bravissimo, sei riuscito in una cosa che io ho tentato di fare senza riuscirci»). Metteteci anche l’acquisto de La7 in dote da Telecom subito salvata dal default, come Silvio fece con Rete4 da Rusconi. E aggiungete la concessionaria di Pubblicità, fondata grazie proprio all’esperienza da amministratore delegato di Mondadori Pubblicità. E sommate il tutto ad una dialettica pop e colloquiale, a un innato senso per la famiglia, e a un rigore libertario che separa le ideologie dai risultati al botteghino (con Silvio dicevano «in Mediaset tutti comunisti», e lo stesso dicono di Cairo a La7).


UN DÉJÀ VU
Un cammino in tutto e per tutto berlusconiano: percorso nel desiderio quasi freudiano dell’uccisione del padre. Ancora oggi, quando a Cairo parli del Berlusca gli luccicano gli occhi. E non è la prima volta che la sua discesa nel campo moderato viene ventilata. Ricordo che agli inizi del 2019, alla convention dei giovani imprenditori a Napoli, Cairo, ignorato dai media, espresse una sorta di piattaforma programmatica su fisco, tasse, lavoro che sembrava quella di un futuro partito. E, di lì a poco, in un’intervista al Foglio, elencò «cinque idee per rilanciare l’Italia», mentre Il Fatto Quotidiano lo indicava «come catalizzatore di un polo moderato e “anti-sovranista” all’indomani del 26 maggio e della possibile, definitiva esplosione di Forza Italia». Dopodichè, Forza Italia resse sia alle Europee che alle Politiche. Più per la grinta guerriera di Silvio, che per altro. Il paradosso è che, mentre Forza Italia rischia la diaspora, proprio dopo la sua scomparsa, il Cavaliere potrebbe aver trovato l’erede... 

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