Annamaria Bernardini de Pace: "Roccella zittita, sono loro i veri squadristi"
«Io una cosa del genere non l’avevo mai vista, ma neanche Pol Pot». Al Salone del Libro di Torino, ieri pomeriggio, il ministro per la Famiglia Eugenia Roccella doveva essere presentata dall’avvocato Annamaria Bernardini de Pace. Doveva, perché il suo intervento è finito nel modo che sappiamo: è finito e basta. Non è riuscita, Roccella, a dire manco mezza parola. «Quella di “Non una di meno” e di “Extinction Rebellion” è stata una manifestazione volgare e arrogante», dice Bernardini de Pace, «nonché aggressiva. Alla faccia della democrazia, si è trattato di una violenza enorme. Di uno stupro verbale e mentale».
Dottoressa, addirittura?
«Guardi, io sono una persona pluralista e non mi scandalizzo facilmente. Ma come altro si può definire chi impedisce a qualcuno di parlare e gli rende impossibile anche solo aprir bocca? Lo sa come li ho apostrofati, a un certo punto, quei ragazzi?».
Come?
«Ho detto che erano dei fascisti. Perché è quello che fa il fascismo, mette il bavaglio a chi non è d’accordo».
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E loro?
«Per una frazione di secondo sono rimasti in silenzio, poi hanno ripreso a inveire ancora di più. Si sono arrabbiati. Chi urlava per il clima, chi per l’aborto. Non si capiva niente. Però il momento più brutto è stato un altro».
Quale?
«Quando il ministro ha invitato una di questi attivisti a salire sul palco. Lei è venuta, ha letto un comunicato di due paginette scritte, se posso permettermi, anche male e poi se ne è andata».
Così, senza un confronto?
«Io mi son detta: adesso si apre un dibattito su posizioni differenti, una discussione civile. Macché. Ha girato i tacchi e se n’è andata».
Della serie “io con te neanche ci parlo”?
«Della serie maleducazione. Per fortuna che il ministro è di tutt’altra pasta».
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Perché? Come si è comportata?
«È stata squisita. Premesso che io non faccio parte di Fratelli d’Italia, io sono iscritta al Partito radicale: Roccella è stata straordinaria. Tutto il contrario di quei ragazzi. Ha chiesto alle autorità che non li portassero via, per esempio. E quando ha realizzato che per recuperare l’intervento avremmo dovuto scalzare chi veniva dopo di noi ha rifiutato».
Se ne è andata da Torino senza presentare il suo libro, quindi?
«Sì, perché altrimenti, in un certo senso, avremmo fatto noi ad altri quello che invece abbiamo subito. La correttezza è una cosa seria».
Che libro dovevate presentare?
«Una famiglia radicale, edito da Rubbettino. Tra l’altro racconta una storia che, se questi ragazzi l’avessero ascoltata, avrebbero imparato qualcosa».
La butto là, visto il riferimento radicale. La lezione di Pannella, quella del dialogo e del “con-vincere”e non solo del vincere, a proposito di violenza?
«Appunto. Invece abbiamo assistito a una brutta manifestazione di arroganza. Il ministro non se lo meritava. In un contesto del genere, poi».
Il Salone del Libro, intende?
«Certo, uno spazio di cultura. E non c’è niente che metta tutti sullo stesso piano come la cultura».