Bruno Vespa, corna e soldi: le clamorose rivelazioni sul presidente
Per gentile concessione dell'autore e dell'editore, pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Bruno Vespa "Kennedy. Fu vera gloria? Amori e potere di un mito", in libreria dal 2 maggio per Rai Libri.
Ogni volta che Jack rientrava, Jackie lo accoglieva guardandolo dritto negli occhi, lui sapeva che lei sapeva. Jackie taceva, per amore, per educazione, per stile, e perché così si fa. Jack era innamorato? Non si saprà mai: «Non ho mai amato davvero nessuna donna, ma sono stato abbastanza interessato a un paio, tra cui mia moglie», pare abbia detto una volta con cinica nonchalance. Sessualmente era bulimico come tutti i maschi di casa Kennedy, anche a causa della mistura di steroidi, anfetamine e novocaina che era costretto ad assumere regolarmente per placare i dolori violenti alla schiena. Le meravigliose iniezioni a cui lo aveva iniziato il dottor Jacobson, detto “Feelgood”, il pusher legale della Casa Bianca al quale tutti si rivolsero prima o poi, Jacqueline compresa. Jackie sapeva benissimo che suo marito andava spesso all’Hotel Mayflower di Washington, entrando dal garage tramite un passaggio segreto, per recarsi nella suite situata all’ottavo piano dove, ogni volta, una fanciulla diversa lo aspettava in camera. Jack non si perdeva in preliminari, il registro era slam bang, thank you madame.
Jackie spendeva un patrimonio in vestiti. Durante i voli, Jack studiava i discorsi con Sorensen, O’Donnell, Salinger e Powers, tra una zuppa di pesce e un altro piatto. Jackie, in silenzio, se ne stava a cucire o a leggere Kerouac. Lo dovettero ammettere tutti, Jackie era una risorsa importante. «Voglio vivere, non essere una testimone della mia vita» e in effetti Jackie fu protagonista assoluta di un’epoca irripetibile. Gli applausi in sua presenza raddoppiavano. «La vedevano come una principessa e adoravano il suo stile affascinante» ammise Pierre Salinger, responsabile dei rapporti con la stampa per Jack.
Jackie, però, non poté stargli vicino durante le elezioni generali. Aspettava un altro bambino e Jack, questa volta, da padre innamorato perso di sua figlia e più consapevole dei rischi, non le chiese di affiancarlo durante la convention a Los Angeles. Jack si aggiudicò la nomination al primo colpo contro Johnson, e il giorno seguente i cronisti corsero a Hyannis Port per sentire Jackie che era lì con Caroline. «Immagino che non sarò di grande aiuto nella campagna, ma farò comunque il possibile» disse lei.
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LA SCOPERTA
E, comunque, aveva sguinzagliato le sue spie, iniziando dalla sorella Lee che, nel frattempo, aveva sposato il principe polacco Radziwill. Lee l’aveva tenuta informata degli incontri con Marilyn, e non solo con lei, che avvenivano nella casa di Los Angeles dell’attore Jack Haley. A Jackie interessava che tutto questo non uscisse dal cerchio magico. Non avrebbe sopportato una pubblica umiliazione.
Il resto lo metteva in conto. Quando Joan, la moglie di Ted Kennedy, si lamentò con lei delle attenzioni persistenti di suo marito per le altre donne, il commento di Jackie fu: «I Kennedy son fatti così.
Vanno dietro a ogni gonna. Non significa niente». La sua formazione e il suo uso di mondo contemplavano anche questa gestione del sesso. Un giorno le toccò spalancare la porta dello studio dove Jack era alla scrivania. Gli puntò davanti l’indice da cui dondolava un paio di slip di pizzo ritrovati sotto un divano della Casa Bianca: «Trova tu la proprietaria, non sono della mia taglia». E li lasciò a terra.
Alla fine, si tenne fuori dalla campagna elettorale sino a che poté. Jackie aveva assistito ai primi tre confronti comodamente seduta in poltrona, ma per il quarto si presentò negli studi della Abc a New York per dare sostegno morale a suo marito, oltre che per oscurare Pat Nixon, di presenza molto più modesta. Non perché non fosse in grado di essere una chic newyorkese, ma Jackie era inarrivabile. E anche spendacciona.
Quell’autunno, un giornale scrisse che le donne americane erano infastidite da Jackie perché in un solo anno aveva speso trentamila Qui sopra, la copertina del libro (Rai Libri): Al centro, l’auto presidenziale poco prima della tragedia; JFK con la moglie e il figlio John Jr; i due figli nello studio ovale; il presidente in auto con sua moglie Jackie (le foto sono tratte dal libro di Bruno Vespa) dollari in abiti di maison francesi. «Non sarebbe stato possibile a meno che non avessi portato della biancheria di zibellino sotto i vestiti» avrebbe risposto lei, secondo Christopher Andersen. Jackie spendeva.
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SPESE PAZZE
Le liti sulla questione denaro tra lei e il marito erano frequenti. Durante la presidenza, ogni mese, Mary Gallagher, la segretaria di Jack, gli consegnava il conto delle spese di sua moglie, poi aspettava che esplodesse. Nel novembre del 1962 ci fu una cena da loro con i Bradlee che, in quell’occasione, appresero che Jackie spendeva oltre centoventimila dollari all’anno, un terzo dei quali solo di abbigliamento. Rimasero tutti stupiti, Jack «non era tanto arrabbiato, quanto incredulo e indignato». Jackie obiettò che, a differenza della moglie di un ambasciatore statunitense che aveva una soglia di spesa direttamente coperta dal governo, la first lady non riceveva nulla. «Insomma devo rappresentare il nostro Paese!» protestò lei, specificando che il guardaroba, firmato Oleg Cassini, glielo finanziava papà Joe Kennedy. È chiaro che Kennedy non aveva nessuna difficoltà di spesa, i centomila dollari di appannaggio presidenziale li devolveva in beneficenza. Il problema era l’opinione pubblica che, sulle spese di Jackie, cominciò a porre l’attenzione. E per spese s’intendevano anche ristrutturazione e arredi di continue nuove dimore.