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Salvatore Baiardo minaccia Libero: "Sarete querelati"

Brunella Bolloli
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«...Perché qui mi stan facendo fare la fine di Berlusconi. Sto passando tutti i weekend con i miei avvocati da quando è scoppiata questa bomba di Giletti...». Capelli al vento, occhiali sul naso, inflessione piemontese e sfondo pseudo bucolico, Salvatore Baiardo, senza più le telecamere puntate di Non è l’Arena, affida a Tik Tok il suo sfogo. L’uomo dei misteri ora fa la vittima, e già qui ci sarebbe da ridere. Il gelataio di Omegna, ma con origini palermitane, che a novembre aveva rivelato a Massimo Giletti che la cattura di Matteo Messina Denaro era vicina («è malato, non ne ha per molto»), è tornato sui social con le sue “profezie” e con qualche minaccia ai giornalisti che non pendono dalle sue labbra. Dopo avere annunciato, la scorsa settimana, che sarà protagonista di nuove iniziative su altri canali televisivi competitor de La7, che a breve darà alle stampe un libro scoppiettante, ha assicurato che il suo conduttore preferito non firmerà alcun contratto con la Rai («Giletti racconta solo quello che vuole raccontare, ma non dice della cena con Cairo al ristorante da Pierluigi in piazza de’ Ricci a Roma. Perciò io devo stare lì ancora a perdere tempo con Giletti? No»).

 

 

Poi ammette che la mafia «sì, in Italia ce l’abbiamo, la stanno combattendo, è giusto che sia così, però non bisogna neanche sempre infangare le persone...». Povera stella: non ci sta. Guai ad accostarlo ai cattivi. Salvatore passa alle vie legali e, non sapendo cosa fare, punta il dito contro Libero, in particolare attacca Filippo Facci, che di lui ha scritto in prima pagina almeno tre pezzi specie venerdì scorso quando è scoppiato il bubbone sul presunto cachet del gelataio gola profonda ed è emersa un’indagine della Direzione investigativa antimafia di Firenze. «Tanti mi dicono che io sono amico di Berlusconi, lo difendo, lo attacco, no: io comincio a querelare Libero», fa sapere Baiardo mischiando politica e giornali, «nella persona del giornalista Facci, che continua a darmi del “pentito” e anche le mie figlie sono preoccupate del fatto che si scriva di me che sono un “pentito”. Ma se Facci trova un verbale di un magistrato firmato da me in cui c’è scritto che io sono un pentito... Invece non c’è perché io non ho niente di cui pentirmi di quello che ho fatto nella mia vita».

 

 

Il video prosegue con lui che si augura che Facci venga condannato non per una questione di soldi - «io non voglio un euro», giura, «devolvo tutto il risarcimento a queste associazioni di bambini autistici» ma basta scrivere «fesserie». Insomma, “l’indovino seriale”, come l’ha chiamato Attilio Bolzoni in un pezzo sul Domani in cui ripercorre “tutti i misteri irrisolti attorno al generale Delfino” (defunto dal 2014), non vuole proprio essere accostato ai pentiti di mafia, ma noi intendiamo tranquillizzarlo: Libero non l’ha scritto, casomai è il tg de La7 che sul sito l’ha chiamato così e cosa fa: querela anche loro? Per essere sicuri al cento per cento abbiamo riguardato gli articoli di Facci, ma si dà il caso che il collega editorialista sia esperto della materia giudiziaria e per questo molto attento alle parole. Infatti, a domanda precisa: Filippo, hai scritto di Baiardo che è un pentito?, la risposta è stata lapidaria.

«Su Libero del 7 febbraio e del 14 e 15 aprile ho scritto tre frasi praticamente identiche in cui specifico che Massimo Giletti non ha dato la parola a un pentito, ma a un favoreggiatore di stragisti mafiosi che in precedenza aveva detto talmente tante sciocchezze da non riuscire neppure a ottenere lo status di collaboratore di giustizia». Baiardo, per chi l’avesse conosciuto soltanto come ospite del talk show della domenica sera, è un ex consigliere comunale del Psdi della cittadina in provincia di Verbania, ma è soprattutto la persona che ne 1996, dopo la cattura dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, ha parlato segretamente con gli investigatori della Dia rifiutandosi di mettere a verbale le sue frasi in cui spiegava di essere stato un riciclatore dei Graviano, i boss del quartiere Brancaccio di Palermo, considerati i mandanti dell’assassinio di don Pino Puglisi nonché ritenuti i responsabili delle stragi in cui hanno perso la vita i giudici Falcone e Borsellino. 

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