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Andrea Ruggieri: "Ora devo tenere a bada Renzi"

Francesco Specchia
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Robe da matti. Un berlusconiano invincibile trombato da Forza Italia e fortemente voluto da Italia Viva, per dirigere un quotidiano ipergarantista già in capo al nuovo direttore de l’Unità. Detta così, sembra una candid camera più che un sussulto dell’editoria politica italiana. Eppure accade che Andrea Ruggieri, romano classe ’75, ex avvocato, ex giornalista televisivo, ex enfant prodige azzurro esiliato dal regno di Arcore, oggi sia davvero in procinto di diventare direttore responsabile del Riformista. Lo fa in combutta col nuovo direttore Matteo Renzi e in sostituzione del vecchio direttore Piero Sansonetti, a sua volta sul punto d’insediarsi sulla tolda dell’antico quotidiano comunista.

Caro Ruggieri, gli esperimenti sono sempre apprezzabili. Ma le domande nascono spontanee. Mi sei diventato renziano all’improvviso? Chi comanderà al nuovo Riformista? Avete una linea editoriale comune? Capisco che siano dettagli, ma...
«Dovrò badare a contenere Matteo Renzi, ma anche lui sa perfettamente che io resto un berlusconiano della prim’ora. Qualche ipotesi di lavoro editoriale ce l’abbiamo. Partiremo, certo, dal centro del garantismo, in un Paese in cui ogni otto ore un italiano viene arrestato, sputtanato, distrutto per poi essere rilasciato perché innocente. Poi non credo che Renzi non sia d’accordo con la riforma fiscale, o le politiche giovanili (così recuperiamo un po’ di lettori da quelle parti), o con la lotta alle 70 autorizzazioni burocratiche che servono per aprire un’attività, o con lotta alla cancel culture. Il giornale dovrà essere una cosa pop ma liberale, che si sottragga alle matrici identitarie».

E questa è la lodevolissima dichiarazione d’intenti editoriale. Ma possiamo dire che porterai Renzi tra le braccio di Silvio (o viceversa)? Che sarai l’anello di congiunzione tra Arcore e la Leopolda?
«Sicuramente dal punto di vista morale ed editoriale, non certo da quello politico, dato che sono stato epurato da Forza Italia con ignominia».

 

 

E questo lo sanno tutti. Ma nessuno ha mai capito perché sei stato trombato. Ora che mi ci fai pensare: perché sei stato trombato?
«Ti racconto come ho conosciuto Silvio. Ne ero rimasto folgorato quando, da autore/inviato di Virus, lo ero andato a trovare ad Arcore con Nicola Porro. Il quale se ne andò, mentre io rimasi a parlare di politica col Cavaliere tutta la notte. “Sei sveglio. Vieni a lavorare con me?”. Mi assunse, così, con un metodo molto americano. Dopo 15 annidi collaborazioni con AdnKronos e Rai, lascio quindi il giornalismo tv. Passa poco e lui mi assegna la gestione della campagna televisiva contro, paradosso, Matteo Renzi, per il referendum. Battemmo Matteo perché con Berlusconi ci muovemmo nel momento clou e in dieci uscite tv lui spostò voti decisivi. Gli devo moltissimo, lo considero un genio e un padre».

Ok, ok. Paolo di Tarso sulla via di Damasco. Col Berlusca capita spesso. Ma, sintetizziamo: perché, se era un così bel rapporto, ti sei ritrovato fuori dalle liste di Forza Italia?
«Avevo già avuto il sentore che, seppur per me inspiegabilmente, Licia Ronzulli e Antonio Tajani volessero farmi fuori. Ne parlavano a persone che me lo riferivano di continuo. Nel frattempo avevo ricevuto tre offerte di candidatura in Parlamento da partiti diversi (uno era Italia Viva), ma per rispetto a Berlusconi avevo rifiutato. Però a me offrirono una candidatura comica: secondo a Roma, laddove si sapeva che neanche il primo sarebbe mai passato».

Non è stato carino, nonostante la riconosciuta prova di lealtà...
«Affatto. Allora, proposi loro altre due alternative facili; mai più sentiti. Chiesi anche l’intervento di Gianni Letta, ma non potè nulla. Risultato: io a casa, e tal Francesco Silvestro in Senato, uno che in un’unica frase sbaglia sia il congiuntivo che il condizionale. Non so se Forza Italia ci abbia guadagnato».

C’è del risentimento...
«Ma no».

Ma sì.
«Però guarda, questo è successo malgrado Silvio mi avesse confermato la rielezione: ero considerato un volto nuovo, giovane, comunicativo, uno di quelli su cui poter rifondare Forza Italia. Peccato non fosse lui a fare le liste. Tant’è che oggi si ritrova con gruppi parlamentari che non conosce e assolutamente inerti. E pensa che alcuni di loro mi contestavano persino la fidanzata (Anna Falchi, ndr), e si dedicavano a far girare la calunnia che fossi un drogato (io...!) perché vicino a quegli ambienti e salotti mondani attribuiti ad Anna. Eppure, né lei né io li abbiamo mai frequentati».

 

 

Nell’agosto 2022 trombato alle elezioni; tre mesi prima mollato dalla Falchi. Non vorrei scivolare nel gossip. Ma certo, perdona, la sfiga ti ha placcato bene.
«Un bell’uno-due. Con lei è finita quando ho appreso dei nostri problemi di coppia da un’intervista, pesante e ingenerosa, che concesse a un settimanale. Fu deludentissimo. Anche se chiudere era giusto, tiferò sempre per lei, e sarà sempre la mia Anna».

Vabbè, Falchi e Forza Italia argomenti tabù. Sorvoliamo...
«Fammi finire. Forza Italia è Berlusconi. Finora la sua dirigenza ha voluto perdere conservando però il posto. Al partito la pandemia aveva dato una grande occasione, fare la rivoluzione liberale della prima Forza Italia, quella di Antonio Martino, invece di correre dietro ai balneari o ai tassisti».

Mi è chiaro. Dicono che nella tua carriera ci sia stata l’influenza di Bruno Vespa, di cui sei nipote. A parte che non ci sarebbe nulla di male, che c’è di vero?
«Tengo a precisare che la parentela con Bruno - che è stato sempre il mio mentore - a livello lavorativo mi ha creato più problemi che vantaggi. Tra l’altro io ho cominciato a fare il giornalista tardi. Mi laureai in giurisprudenza con una tesi sul “Falso in bilancio”, poi un’esperienza a New York dove feci anche il cameriere (ma volevo fare l’avvocato), poi rientrai a Roma nello studio della penalista Grazia Volo. Il primo incarico fu nel processo a Calogero Mannino per concorso esterno per associazione esterna in cui Mannino venne assolto. Per dirti...».

Torniamo alla politica. Il Terzo Polo s’è squagliato. Chi ha ragione tra Calenda e Renzi?
«Il Terzo Polo non poteva funzionare così, perché Calenda, alla fine, pende sempre a sinistra. Se la sinistra ha un buon candidato lui sta con la sinistra, se non ce l’ha, va da solo; ma non si sposta mai a destra. Vedrai che finirà tra le braccia della Schlein. Anche questa cosa del Riformista...».

Calenda ritiene Il Riformista per il fu Terzo Polo una jattura.
«Renzi, in realtà, vi s’è dedicato proprio per colmare il buco creato dal passo di lato che gli aveva chiesto Calenda. Solo che Calenda, che è incazzoso, con tutti ha mal interpretato». 

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