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Marco Pannella, l'incontro con Dio: la rivelazione in una lettera

Antonio Socci
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Pochi giorni prima di questa Pasqua è stato ripubblicato un singolare scritto di Marco Pannella che tutti ricordiamo come il focoso leader radicale, protagonista di mille battaglie laiche e anticlericali. Valter Vecellio, direttore di Proposta Radicale, ha mandato ad Avvenire la lettera che Pannella, già malato e sofferente, inviò, «il 22 aprile (poco meno di un mese prima di morire, il 19 maggio)» a papa Francesco. «Forse» nota Vecellio «si tratta del suo ultimo scritto». La lettera è questa: «Roma 22 aprile 2016. Caro Papa Francesco, Ti scrivo (...) dalla mia stanza all’ultimo piano – vicino al cielo – per dirti che in realtà ti stavo vicino a Lesbo quando abbracciavi la carne martoriata di quelle donne, di quei bambini, e di quegli uomini che nessuno vuole accogliere in Europa. Questo è il Vangelo che io amo e che voglio continuare a vivere accanto agli ultimi, quelli che tutti scaricano. Questa passione è il vento dello “Spirito” che muove il mondo. Lo vedo dalla mia piccola finestra con le piante impazzite che si muovono a questo vento e i gabbiani che lo accompagnano. In questo tempo non posso più uscire, ma ti sto accanto in tutte le uscite che fai tu. Un pensiero fisso mi accompagna ancora oggi: spes contra spem. Caro Papa Francesco, sono più avanti di te negli anni, ma credo che anche tu ti trovi a dover vivere spes contra spem. Ti voglio bene davvero. Tuo Marco. P.S. Ho preso in mano la croce che portava in mano monsignor Romero e non riesco a staccarmene».

 


Monsignor Romero è l’arcivescovo martire di San Salvador. La sua croce era in possesso di monsignor Vincenzo Paglia che un giorno andò a trovare Pannella e su sua pressante richiesta gli spiegò la storia di Romero, morto con quella croce sul petto: «io dovetti sfilarmela» ricorda Paglia «per non farmela strappare e lui se la rigirava tra le mani. Poi se l’è messa al collo. Se l’è tenuta anche mentre scriveva la lettera a papa Francesco. L’avrebbe voluta tenere fino alla fine, ma io l’ho ripresa, anche se ho avuto un po’ di rimorso. La sua compagna mi ha detto che ha sempre pensato a quella croce come se continuasse a tenerla al collo». Si potrebbero fare tante considerazioni psicologiche su quella lettera, ma il post scriptum sulla croce di monsignor Romero è molto chiaro e rivela molto. Non solo degli ultimi giorni di Pannella, ma di ognuno di noi. E del crocifisso. Credo che Marco abbia percepito l’abbraccio di compassione che il Papa portava a quei derelitti anche come un abbraccio a lui. Un abbraccio di Gesù crocifisso a lui. Tutti saremmo commossi di fronte a un innocente che soffre per noi, al nostro posto, e che è addirittura disposto a morire per noi. Tutti desideriamo essere amati di un amore così, infinito e incondizionato. Abbiamo bisogno di essere perdonati e abbracciati, qualunque sia stata la nostra vita e la nostra condizione. Tutti abbiamo bisogno di uno sguardo di compassione.

 

Alessandro D’Avenia ha raccontato un episodio relativo a Marija Judina «una delle più grandi pianiste russe del ‘900». In una scuola un bambino orfano viene cacciato per il suo comportamento terribile. L’espulsione era un atto pubblico, alla presenza di tutti. La Judina – che era di un’altra classe – «vedendo la scena, si mise a piangere per l’umiliazione inferta dagli adulti a un bambino che, quando la vide in lacrime, le corse incontro, abbracciandola e promettendole che sarebbe stato buono “per sempre”. Gli fu data un’ultima possibilità. Nei giorni successivi rimase sempre attaccato a quella maestra e il suo cambiamento fu repentino e totale, tanto che la donna gli chiese perché non lo avesse fatto prima. Il bambino rispose: “Nessuno aveva mai pianto sulla mia vita”».  Tutti – uomini importanti o persone comuni - siamo quel bambino orfano e cerchiamo uno sguardo di compassione. Che Gesù di Nazaret sia veramente ciò che affermava di essere, che abbia compiuto miracoli inauditi e dopo tre giorni sia risorto è la pura realtà storica. È perfino documentabile e accertabile razionalmente (io stesso ho messo in fila alcune “prove” – 780 pagine - in due libri, “Indagine su Gesù” e “La guerra contro Gesù”). Tutti lo sappiamo. Anche i “non credenti”, più o meno confusamente. Ma non basta saperlo. Viene un momento in cui lo possiamo sperimentare, in cui lo incontriamo vivo e possiamo accorgerci del suo amore in uno sguardo, in un volto. Quello è l’avvenimento decisivo. Può capitare in mille modi perché il Risorto è vivo e instancabilmente ci viene incontro nelle nostre giornate.


È capitato perfino a Stalin e non solo nel famoso episodio dell’icona della Madonna di Kazan, quando, in piena guerra, fece eseguire ciò che gli richiese un venerato asceta ortodosso libanese (Vittorio Messori ha raccontato questa stupefacente vicenda nel suo “Ipotesi su Maria”). A Stalin capitò con la stessa Marija Judina. La quale era nata nel 1899. Suo padre era un medico ebreo. Lei a vent’anni chiese il battesimo. Era già una grande pianista, stimatissima da Sostakovic. L’arte era il suo modo di rapportarsi a Dio. Il regime comunista la emarginò in tutti i modi. Un giorno un capo del partito gli prospettò tutti gli onori che avrebbe potuto avere «se solo lei non credesse in Dio!». Marija gli rispose: «Non rinnegherò la mia fede in Dio. Sarete voi invece a venire tutti dalla nostra». Giovanna Parravicini, che ne ha ricostruito la storia, racconta che la Judina trascorse tutto il terribile 1943 «al fronte, nella Leningrado stretta nella morsa dei tedeschi, suonando nelle sale cittadine». Sostakovis ha riferito un episodio accaduto in quei giorni. La radio trasmise il Concerto n.23 K 488 di Mozart eseguito dalla Judina. Stalin lo sentì e ne restò folgorato. Chiese il disco che però non esisteva. Lo fecero registrare d’urgenza alla pianista per portarlo al dittatore. Stalin ne fu così colpito che fece avere all’artista (che viveva emarginata in povertà) ventimila rubli. Lei ebbe l’ardire di rispondergli: «La ringrazio per il suo aiuto. Pregherò giorno e notte per lei e chiederò al Signore che perdoni i suoi gravi peccati contro il popolo e la nazione. Dio è misericordioso, la perdonerà. I soldi li devolverò per i restauri della chiesa in cui vado». «Una risposta» commenta Parravicini «che avrebbe potuto costarle lavita. Invece non le viene torto un capello. Si dice che il disco con il concerto della Judina fosse sul grammofono di Stalin, quando lo trovarono morto nella sua dacia». 

La Judina diceva che «l’arte è solo un cammino. Lo scopo ultimo di ogni cammino interiore è la fede e la resurrezione universale». Ogni volta che Stalin ascoltava quel disco inevitabilmente doveva ricordare le parole della grande artista che pregava per lui, che piangeva per lui e per i suoi peccati, che lo esortava a lasciarsi abbracciare dalla misericordia del Figlio di Dio che era morto anche per lui. «Egli si è caricato delle nostre sofferenze» scriveva il profeta Isaia «si è addossato i nostri dolori (...). È stato trafitto per le nostre colpe. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti». Il mondo, anche in questa Pasqua 2023, vaga nelle tenebre, con i potenti che sacrificano i popoli, mentre avremmo bisogno del Salvatore vero che sacrifica se stesso per noi e risorge per far risorgere noi. Secondo Georges Bernanos «verrà il giorno in cui gli uomini non potranno pronunciare il nome di Gesù senza piangere».

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