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Majorino, crisi di nervi: "Se non piaci a Libero..."

Fabio Rubini
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Quando si pensa a Pierfrancesco Majorino la prima immagine che torna alla mente è quella del bimbo che dorme all’addiaccio sui gradoni della Stazione Centrale di Milano. Era il 2014 e il nostro era impegnato nella massiccia campagna di accoglienza diffusa. Quella che trasformò Milano in un immenso dormitorio a cielo aperto e che, per certi versi, segnò la sua carriera politica. Ne riparleremo. Classe ’73, cresciuto in un quartiere da lui stesso definito «semi centrale», che sta tra Porta Romana e corso Lodi, della sua vita privata si sa che ha un figlio da una precedente relazione e attualmente è sposato con Caterina Sarfatti, rampolla di una famiglia della ricca borghesia milanese.

Pierfrancesco Majorino a 14 anni si iscrive alla Federazione giovani comunisti italiani (Fgci), a 20 molla l’università per dedicarsi alla fondazione dell’Unione degli studenti e della rete studentesca, di cui è anche il primo presidente nazionale. A 25 migra a Roma dove “lavora” come consulente del Dipartimento Affari Sociali, col ministro Livia Turco. La capitale, però, non lo convince («Roma è una brutta bestia») e così si concentra su Milano dove tra il 2004 e il 2007 ricopre il ruolo di segretario cittadino dei Ds. Entra in Consiglio comunale come capogruppo in opposizione a Letizia Moratti. Nel 2011 la svolta: è assessore della giunta Pisapia, si occupa di sociale e di temi legati all’immigrazione. Fonda la “Casa dei diritti” della quale, un decennio dopo, non si è ancora capito bene lo scopo. Ed è mettendo in pratica le sue teorie senza filtri sull’immigrazione che il rapporto tra il partito e Majorino s’incrina.

 

 

Nel 2016, dopo la rinuncia di Pisapia a fare il bis, Pier si candida alle primarie e arriva terzo (su quattro) dietro Beppe Sala e Francesca Balzani. Torna in giunta con mr. Expo, ma il rapporto tra i due non decolla. Così nel 2019, alla prima occasione utile, il Pd lo manda in esilio dorato all’Europarlamento (Libero titolò “Evviva, Majorino se ne va»). Il suo ruolo a Bruxelles è anonimo (quasi come i tre romanzi che ha scritto). Solo di recente il nostro si è fatto notare per due notevoli perle: la foto del suo incontro (da lui definito «fruttuoso») con Marie Therese Mukamitsindo, suocera di Aboubakar Soumahoro e presidentessa della cooperativa Karibu, finita nella bufera per la gestione dei fondi per i migranti. E per aver definito «militante dei diritti umani a livello italiano e non solo», Antonio Panzeri arrestato e ora ai domiciliari per il Quatargate.

Più di recente il Pd lo sceglie quale “agnello sacrificale” da mandare contro Attilio Fontana alle regionali. Lui, sprezzante del pericolo- o in questo caso, del ridicolo - accetta la sfida e come primo atto incontra il sindaco di Bergamo Giorgio Gori per «imparare da lui come si fa a battere la destra». Una lezione che Pier impara talmente bene da bissare quasi in fotocopia la tragica sconfitta della sinistra- guidata proprio da Gori - nel 2018. Libero suo malgrado si è occupato spesso dell’esponente dem. Un’attenzione sempre ricambiata. Non c’è titolo o commento uscito sul nostro giornale che non finisca sui suoi social con commenti sprezzanti.

 

 

L’ultimo, l’altro giorno quando è finito tra i “mostri” scelti da Elly Schlein (e qui va detto che Majo è stato tra i pochi a Milano a schierarsi fin da subito con la segretaria) per dare un’identità nuova al Pd. «Se non piaci a Libero vuol dire che sei nel giusto. È un metro che ho sempre usato. Grazie ragazzi!». Anche se memorabile resterà la sua sfuriata contro la redazione milanese del nostro giornale rea di mettere di proposito foto dove si accentua la sua pancia prominente. In alcuni ambienti del Pd è soprannominato “Suola” (quelle che dice vadano consumate per fare politica), ma letto il suo curriculum, forse, c’è una “u” di troppo... 

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