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Antonella Viola? Dopo il "no" al vino... a cosa fa lo spot

Giovanni Sallusti
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La colpa è nostra, che prendiamo sul serio Antonella Viola. Immunologa della generazione giusta, quella che ha incrociato la pandemia da Covid, come molti colleghi è passata prima al rango di virostar (aiutata in questo da una sensualità trattenuta, una “r” moscia debordante e una presenza complessiva diciamo un gradino sopra quella del povero Crisanti), quindi è assurta a tuttologa, con accorta strizzata d’occhio a sinistra. Antonella Viola un paio di mesi fa si è svegliata e, forse in preda all’astinenza da prima pagina, senza nemmeno un talk show dove andare la sera, ha tenuto a informarci che il vino fa male, sempre, e che «la dose sicura è zero», in quanto «uno o due bicchieri di vino al giorno possono alterare le componenti della struttura cerebrale». «Insomma, chi beve ha il cervello più piccolo», concludeva in una sorta di bullismo salutista.

 

 

Quindi, dopo aver così dato dei rinc***niti a Charles Baudelaire, Ernest Hemingway, Winston Churchill (per tacere di quegli avvinazzati di Socrate e Platone nei loro dannati simposi), assicurò a mezzo stampa di concedersi la pratica sovversiva dell’aperitivo «sì, ma con il succo di pomodoro». Non aveva calcolato che il web non è addomesticabile quanto il salotto di Lilli Gruber, e da lì a pochi giorni uscirono sue foto intenta a maneggiare beatamente lo spritz d’ordinanza, o a brindare entusiasta con calice di bianco ricolmo. In qualunque universo dotato di senso, da lì in poi la sua credibilità avrebbe accusato un crollo pari a quello delle azioni della Silicon Valley Bank. Avendo però il dibattito italico abdicato da un pezzo anche a ogni finzione residua di significato, la (pseudo) astemia Viola è diventata ancora più ricercata dalla gente che piace. L’organo ufficiale di quest’ultima, La Stampa di Massimo Giannini, ieri l’ha schierata in veste di editorialista. Antigovernativa, ovviamente. La viro-eno-star si è infatti presa un’intera paginata per concionare contro una delle ultime decisioni dell’esecutivo della detestata Meloni («una donna che ha accettato il gioco politico maschile», l’aveva già battezzata con supercazzola parafemminista): il divieto «di impiegare, vendere, importare, esportare, distribuire alimenti costituiti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati».

 


E se il no alla carne sintetica può non suonare intonatissimo a orecchie liberali (chi scrive preferirebbe sempre la salamella di suino su quattro zampe, ma non gioisce di fronte a un ennesimo divieto), certo il peana sulla sua salubrità innalzato da parte di chi ci ha spacciato il calice di Chianti come distruttore d’intelligenza desta qualche lievissima perplessità. Anzitutto, non è certamente un grande spot a favore della proteina in provetta: il marketing ha le sue leggi, non sono quelle delle riunioni di redazione a La Stampa, e quel problema di credibilità permane. Ma soprattutto: tutto questo fideismo infervorato sulle magnifiche sorti e progressive dell’umana tavola garantite dalla bistecca da laboratorio pare un posizionamento politico ben più che una teoria scientifica, pare avere a che fare molto più con la stizza antimeloniana che col rigore metodologico. Perché altrimenti Antonella, che correda la sua pagina Facebook con una citazione di Karl Popper («Quelli che tra noi non espongono volentieri le loro idee al rischio della confutazione non prendono parte al gioco della scienza»), si lascerebbe andare ad affermazioni così definitive, così simili a verità rivelate, così poco popperiane? «I vantaggi per le generazioni future così come le potenzialità di sviluppo del settore sono enormi».

Detto così, tra il dogma e la sicumera, parlando di un fronte di ricerca che è appena agli inizi, senza alcuna cautela lessicale, senza nemmeno una postilla su possibili effetti negativi ancora da appurare, o su quelli positivi sempre a rischio falsificazione. Sullo stesso quotidiano, ad esempio, è stato molto più guardingo e “popperiano” il professor Paolo Ajmone, ordinario di Miglioramento genetico animale all'Università Cattolica di Piacenza: «Quella di vietare i cibi artificiali, in particolare la carne, è una misura di prudenza. Ne sappiamo ancora poco, è fondamentale che la ricerca vada avanti». Niente, per Antonella quella del governo è «una decisone oscurantista», le braciole sintetiche come il cannocchiale di Galileo, e all’opera c’è l’esigenza di «ribadire il concetto complottista che vede la tecnologia e tutto ciò che ne deriva come un pericolo». Forse si riferiva inconsciamente ai No seriali degli ecotalebani della gauche, ad esempio quello alla tecnologia nucleare avanzata e pulita, che scioglierebbe in un colpo solo nodi energetici, economici, geopolitici. O forse, semplicemente, ha esagerato col succo di pomodoro. 

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