Gaia Tortora, lo sfogo sul calvario di papà: "Solo Vittorio Feltri e Piero Angela"
Era il lontano 1983, quando Enzo Tortora fu ingiustamente accusato di traffico di droga. Un lungo calvario che finì nel peggiore dei modi e che porta oggi Gaia Tortora a domandarsi perché "soltanto Vittorio Feltri si prese la briga di leggere gli atti e scrivere che forse la realtà non era come la stavano raccontando?". La figlia del conduttore tv ribadisce che "era chiaro fin dall'inizio che l'inchiesta fosse piena di incongruenze e nessuno ha voluto vedere. Nessuno si è mai posto domande".
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Raggiunta dal Corriere della Sera, la giornalista alla guida di Omnibus torna a parlare della dolorosa vicenda che ha travolto la sua famiglia: "Mio padre in quel momento era l'uomo più popolare d'Italia. La sua trasmissione aveva ascolti che oscillavano tra i 28 e i 30 milioni di telespettatori". E questo - è il sospetto di Gaia - "dava fastidio, ma nello stesso tempo parlare di Tortora faceva fare un salto di qualità ai pentiti e all'inchiesta. Per questo dico che c'è stato dolo".
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A confermarlo, dice indignata, "quattro verifiche sulle cose che raccontavano i pentiti". Verifiche che non sono mai state fatte. Sarebbe bastato poco per capire che "nell'agendina di Giuseppe Puca, uomo di Cutolo, erano riportati due numeri di tale 'Enzo Tortona', che nei verbali diventò 'Enzo Tortora'". Per non parlare poi del giorno in cui Gianni Melluso raccontò di aver consegnato a Tortora una scatola di scarpe piena di droga. Quel giorno Melluso era invece rinchiuso nel carcere di Campobasso. "Ma questo - prosegue - fu Feltri a scoprirlo, non i magistrati". Poche le persone che in quegli anni gli furono vicine. Tra questi "Piero Angela, che poi per me è diventato come un secondo padre".