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Inchiesta Covid, Fontana contro Crisanti: "Basta tv, il pm intervenga"

 Andrea Crisanti

Daniele Dell'Orco
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Nel clima incandescente che caratterizza i giorni dell’inchiesta Covid in Val Seriana condotta dalla procura di Bergamo, il microbiologo Andrea Crisanti fa il perito di parte e monopolizza lo spazio in tv in modo «insistente». È con questa puntualizzazione che l’avvocato Jacopo Pensa, che assieme a Federico Papa difende il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, chiede alla procura di Bergamo di «diffidare il proprio consulente da tali apparizioni».

L’indagine sull’inizio della pandemia intanto prosegue e il tutti contro tutti continua. Sta facendo rumore il contenuto delle chat Whatsapp tra il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro e Francesco Curcio, direttore del Dipartimento di medicina di Laboratorio di Udine: «Il tema è che tutti pensano che il test serva a qualcosa», scrive Brusaferro. «In quel periodo la valutazione era di non procedere con l’uso massiccio dei tamponi», anche se da Londra era stato comunicato che »oltre 2/3 dei portatori sani provenienti dalla Cina» fossero rimasti «undetected» e avessero avuto tempo di diffondere il virus. Brusaferro, quel giorno, commentava la situazione: «Come puoi immaginare siamo in continuazione in comitato di crisi». E Curcio: «Ho immaginato. Noi siamo preparati». Brusaferro aggiunge: «Il punto è l’adozione sistematica delle precauzioni standard, droplets area».

E il direttore del Dipartimento di Udine proseguiva: «Qui il problema adesso è l’iperafflusso: in un paio di ore abbiamo già un centinaio di richieste di test. Rischiamo di saturare i sistemi di accoglienza e quelli di diagnosi. Non oso pensare alle richieste che faranno quando avremo i primi casi. Facciamo presto a rimanere senza materiali».

 

 

 

TROPPI TAMPONI - Alché si era stabilito di eseguire i tamponi ai soli casi di sindrome simil-influenzale e di sindrome da distress respiratorio acuto. Inoltre, annotano nella loro relazione gli investigatori, Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, «evidenziava l’inutilità di sottoporre a tampone le persone asintomatiche e il Ministero faceva propria questa indicazione, benché il 25 febbraio 2020, i tecnici - tra cui lo stesso Brusaferro - avessero ricevuto una mail da Londra su problema degli asintomatici.

Secondo la relazione tra i motivi per cui già allora non si sia proceduto con tamponi a tappeto trova anche spiegazione nel fatto che «né il Ministero, né la task force istituita presso il Gabinetto, né il Cts, né, tantomeno, le Regioni, avevano previsto lo stoccaggio di tamponi e di reagenti, ma si erano limitati a una semplice ricognizione dell’esistente.

Nulla era stato fatto nemmeno riguardo l’ampliamento del numero di laboratori in grado di diagnosticare il Covid».

SENZA DIAGNOSTICA... - Queste sono solo alcune delle lacune nella gestione dell’emergenza evidenziate nelle quasi 2.500 pagine dell’inchiesta in cui si raccolgono documenti ufficiali, chat e le testimonianze di politici ed esperti in prima linea.
I punti di debolezza più evidenti riguardano il tracciamento, la carenza di tamponi e medici di base, ma vengono alla luce anche le visioni diverse di come affrontare e rispondere al virus che avanzava inesorabile. 

 

 

In una chat del 23 febbraio 2020 Giuseppe Ruocco, ex segretario generale del ministero della Salute scrive: «Qui si stanno demoralizzando tutti, e il ministro ormai è nel pallone» e sei giorni dopo, sempre con la stessa interlocutrice, «sta succedendo di tutto: pareri del Comitato difformi da Conte e ministro, ripensamenti sollecitati, gente richiamata a venire qui... la guerra mondiale».

Gli atti ricostruiscono l’emergenza, giorno per giorno, in un crescendo di richieste da parte di esponenti delle Regioni e medici che lottano per aver qualche mascherina o anche solo pochi tamponi che diventano sempre più appelli quasi disperati.

Notevoli, poi, le valutazioni dei singoli: «Ma fare tamponi a tutti adesso è la cazzata del secolo» diceva il 15 marzo 2020, in pieno lockdown, Ranieri Guerra, a Brusaferro, per poi rassicurare: «Ho parlato con Galli, poi, e gli ho detto di desistere dal proporre scemenze come tamponi per tutti...lui ha convenuto, spero...». Poi sono stati fatti, per due anni.

...E SENZA PROTEZIONI - Tra gli altri a parlare in quei giorni e proprio sui dispositivi di sicurezza c’era anche l’ex assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera: «Ci hanno fatto andare in guerra come gli italiani in Russia, con le scarpe di cartone» rispondeva all’ex consigliere regionale azzurro, Carlo Saffioti, che gli parlava dei problemi coi dispositivi di sicurezza nella Bergamasca scrivendo che «il territorio è allo stremo. Si è investito tutto sugli ospedali che hanno fatto miracoli, ma il territorio è rimasto abbandonato a se stesso». Lo scambio, agli atti dell’inchiesta della Procura di Bergamo, risale al 24 marzo. «Il problema è l'assoluta insufficienza dei Dpi» scriveva Gallera, «fin da subito non siamo riusciti a distribuire sul territorio mascherine, camici, visiere eccetera perché non ce n’erano. Qui i pochi che abbiamo vengono giustamente destinati agli ospedali. Questo ha fatto saltare protocolli e servizi che erano attivi e che avrebbero dovuto essere un presidio di sanità. Ci hanno fatto andare in guerra come gli italiani in Russia, con le scarpe di cartone». 

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