Perché Trump non fa parte del mondo dei conservatori
Il ministro Sangiuliano smonta l'ex presidente Usa: «Una fascinazione sbagliata In realtà è sempre stato democratico e ha tradito i veri valori dei Repubblicani»
Quando si dice il vento del logos. E così –giusto per spazzare dubbi legittimi per la sinistra e per noi di destra- ci siamo tolti dalle scatole anche il delirio anarcoide di Donald Trump. Ottimo.
Non era facile strappare dalla retorica sovranista il ciuffo di Trump, il recidivo la cui strategia elettorale bascula tra Steve Bannon, Pietro Gambadilegno e i nazisti dell’Illinois dei Blues Brothers. Ma il sovranismo, oramai, è latitante. E da oggi, per merito del ministro della Cultura si spegne la fascinazione del centrodestra italiano «nei confronti di Trump». «Se c’è stata una fascinazione (certo che c’è stata, Genny... ndr) nei confronti di Trump questa è sbagliata, perché non ha nulla a che vedere con il conservatorismo pienoe culturale: i conservatori autentici sono qualcosa di completamente diverso», dichiara Gennaro Sangiuliano collegato con Stefano Feltri, direttore del Domani, nell’ambito della prima edizione di Scenari, il Festival organizzato dal mensile di geopolitica a Pesaro.
AMICO DEI CLINTON Il pensiero di Sangiuliano è di un nitore indiscutibile.
«Trump è stato per vent’anni iscritto tra le liste del Partito Democratico e gli unici politici presenti al suo matrimonio con Melania erano Bill e Ilary Clinton» sottolinea il ministro «un democratico che poi, ad un certo punto, trova uno spazio politico all’interno dei Repubblicani, ci si ficca dentro e crea questo fenomeno politico, anche perché non erano più riusciti ad esprimere una leadership di valore come lo era stata quella di Ronald Reagan oppure, possa piacere o meno, di George W. Bush o Eisenhower». Trump, insomma, sarebbe, in realtà, un democratico irrisolto che ha cavalcato abilmente l’inquietudine del ceto medio, fingendosi conservatore. Certo, ha finto bene.
Ma se Sangiuliano - che sul trumpismo ci ha scritto pure un libro - mette il tycoon newyorkese in un cantuccio della coscienza politica americana, be’, c’è da credergli. Tutta la prima linea governativa, specie dalle parti di Fratelli d’Italia, si trova oggi schierata sul pensiero di Sangiuliano. Il che, se può sembrare una sorta di sconfessione, dall’altra non soltanto disinnesca le critiche alla politica estera meloniana da parte della sinistra più accesa; ma pure detta la linea del nuovo corso conservatore.
Oddio, nuovo...
In realtà non si fa altro, in un’operazione di repechage culturale, che riproporre il pensiero di Barry Goldwater, repubblicano al titanio avversario di Lyndon Johnson nel ’64.
Il quale Goldwater, seguendo la lezione di Edmund Burke spiegava quanto fosse «improprio per un conservatore assumere atteggiamenti “squilibrati” nel tentativo di delegittimare tutto e tutti». Lo spiegava bene un altro ultraconservatore, Gennaro Malgieri, sulla rivista geostrategica Formiche, già nel 2016: «Nella lunga storia del Grand Old Party, ispirato appunto al conservatorismo, non s’è mai visto né un candidato alla Casa Bianca, né un esponente di rilievo “tradire” il mandato storico ricevuto da chi ha nei fatti costruito gli Stati Uniti...
Trump non è, beninteso, un rivoluzionario dotato di una cultura politica di riferimento solida. È un demagogo che ha capito la classe media americana alla quale si rivolge con un linguaggio sopra le righe, vellicando i risentimenti meno nobili dell’elettorato, impedendogli di ragionare». E ancora: «Parla, insomma, alla pancia della gente enfatizzando le paure diffuse in ambiti dove ci sente assediati dall’incertezza sociale, dall’immigrazione, dall’incombente esclusione dalla vita economica in seguito agli sviluppi della devastante “finanziarizzazione” che ha messo le risorse nelle mani di pochi a svantaggio dei salariati e dei risparmiatori». Cioè, spiegava Malgieri: dato il suo inesistente senso dell’onore, l’esiziale rispetto per lo Stato (vedi i successivi fatti di Capital Hill) e la sua disaffezione per la verità, Donald Trump è un repubblicano senza essere conservatore.
Sulla scorta della condanna degli allora «padri nobili» del Grand Old Party – John McCain e Paul Ryan - tutti i veri conservatori, in realtà, ne convenivano. Specie in Italia, patria di Prezzolini autore amato da Sangiuliano. Certo, si può obbiettare che molti di noi abbiano glissato sulla falsa stella di Donald; vuoi per convenienza elettorale, vuoi per riflesso pavloviano contro i dem d’ogni latitudine. Mala verità è un’altra. Gli autentici conservatori leggono libri, insufflano idee, costruiscono mondi. E i conservatori della Meloni sono «underdog», fuori pronostico come lei.
E, nel loro nuovo pantheon, sfilano l’ambientalista Roger Scruton, Enrico Mattei, Steve Jobs, Giovanni Falcone, Ilaria Alpi e Tina Anselmi, perfino i Papi Wojtyla e Bergoglio. E l’economista indiano Amartya Sen, premio Nobel, citato in chiave anti/reddito di cittadinanza: «La vera povertà non è la mancanza di soldi, ma l’impossibilità di migliorare la tua condizione».
NUOVI ASSETTI Oggi è cambiato il mondo. E nel nuovo mondo Trump è un clandestino senza permesso di soggiorno. Autorevoli testate da Le Figaro al New York Times al Guardian attestano che Meloni nulla abbia dell’ex presidente; ed è in grado, primo premier italiano donna, di ispirare i conservatori Usa. Addirittura l’americano Politico evita la «trappola di ridurre la leader di Fratelli d’Italia alla versione italiana di Trump o Orbán o Le Pen»; e spinge invece a guardare ad un «populismo di destra sempre più intelligente», che potrebbe ispirare anche l’agenda di molti repubblicani non soggiogati da Trump. E l’Heritage Foundation, think tank del conservatorismo, va oltre. Fornisce la visione strategica: «Il governo italiano potrebbe essere un ponte tra l’Ecr e il Ppe (i conservatori di cui Meloni è presidente e i Popolari), che rappresenta 81 partiti di 43 paesi. In effetti, queste due forze politiche includono, rispettivamente, Fratelli d’Italia e Forza Italia (due dei partiti che appartengono all’attuale maggioranza parlamentare in Italia)». E questo schieramento politico «potrebbe emarginare il Partito dei socialisti europei, che comprende alcune forze politiche che hanno sostenuto posizioni filo-russe e filo-cinesi». Il solito discorso, proiettato verso le Europee del 2024. Un blocco Ppe-Ecr che parte da un filoatlantismo d’acciaio (ecco il perché di tanta attenzione alla Polonia, sentinella ai confini russi) e faccia la rivoluzione. Ovviamente il first american Trump, qui, c’entra come i cavoli a merenda. Sangiuliano questi rapporti sul futuro della nazione li ha ben letti e, da conservatore, li ha conservati...