Sangiuliano, la rivoluzione: stop ai sovrintendenti italiani penalizzati
Il responsabile della Cultura vuole mettere mano alla legge che vieta di assumere sovrintendenti in pensione, ma non se sono stranieri: «Discriminazione assurda». Come fare.
Mattone dopo mattone, s’accenderà la rivoluzione.
«Sto studiando un meccanismo normativo che la smetta di discriminare i sovrintendenti italiani rispetto a quelli italiani. Ma vi pare che qui gli stranieri possano lavorare quanto vogliono e gl’italiani siano bloccati dalla legge…?». Questo, più o meno sarebbe il ragionamento di Gennaro Sangiuliano echeggiato (e da noi volgarizzato) ai suoi, nelle stanze neanche troppo segrete dei Beni Culturali.
Un invito a discutere, finalmente senza timore reverenziale, dell’esterofilia della nostra Pubblica Ammnistrazione. Un primo passo – par di capire - per smantellare il consolidatissimo “sistema Franceschini” della cultura italiana.
Le indiscrezioni dal ministero partono dalla querelle sul possibile commissariamento del Maggio Fiorentino. Il cui sovrintendente, il viennese Alexander Pereira, 75 anni, nonostante la situazione inquieta da lui creata all’ente (rimborsi spese nella bufera, avvisaglie di peculato e fondi pubblici di “rotazione” spesi contra legem) resta ancorato tenacemente allo scranno. E questo anche perché alcuni tra i suoi possibili e più accreditati sostituti, Cristiano Chiarot deus ex machina della Fenice e Carlo Fontana ex Scala e patron delle leggi sulle Fondazioni, non possono essere arruolati in virtù dello stop imposto dalla legge Madia sul pubblico impiego. Ossia della Legge n.12 del 7 agosto 2015 che, caldeggiata dall’ex segretario generale del ministero dal 2015, Salvo Nastasi, stabilisce l’impossibilità di assumere dirigenti italiani oltre l’età naturale della pensione in seno agli enti pubblici che rientrino nel bilancio consolidato dello Stato; salvo quelli che, come l’Arena di Verona e la Scala vedono gli sbigliettamenti e le entrate private superare le sovvenzioni pubbliche. La legge Madia non prevede formalmente però alcuna limitazione per gli stranieri. Sicché la situazione ha creato il paradosso: dai prestigiosi posti dirigenziali della cultura vengono esclusi gli italiani. Per esempio, proprio Pereira, già contestato sovrintendente della Scala e ora contestatissimo al Maggio (e, se tutto gli va bene, in virtù degl’insuccessi, potrebbero perfino dirottarlo alla prestigiosa Verona, o a Spoleto) era già in pensione avendo la stessa età del suddetto Fontana.
Altro doloroso esempio è quello del San Carlodi Napoli dove andò Stephane Lissner, per dieci anni alla Scala di Milano con stipendi che sfioravano il milione l’anno; il quale Lissner avrebbe dovuto andare in pensione a 66 anni per raggiunti limiti di età. Ma, essendo di nazionalità francese venne confermato dall’allora sindaco partenopeo De Magistris. Idem per il suo connazionale Dominique Meyer, classe ’55, ancora saldamente avvitato allo scranno scaligero come nocchiero nella tempesta. Ci fu un periodo che per ogni dirigente pensionato compariva uno straniero. Tra l’altro così si è finito per danneggiare perfino la crescita di manager e sovrintendenti 40/50 enni. Va bene gli stranieri, insomma; ma che almeno gli italiani abbiano pari opportunità. Ma tant’è.
Secondo alcuni giuristi, Sangiuliano potrebbe, banalmente, bloccare il suddetto circolo vizioso attraverso l’estensione della giurisdizione italiana ai contratti degli stranieri, poiché il loro datore di lavoro è lo Stato italiano. Trattasi del famoso criterio della territorialità. Rimodulato, magari, sulla durata stessa del contratto che potrebbe essere di 1-massimo-2 giusto, per consentire allo straniero di cambiare graziosamente residenza. Al di là della situazione del Maggio Fiorentino, l’entrata in vigore del nuovo meccanismo rappresenterebbe anche un segnale di cambiamento di passo nella gestione piddina del settore.
Come quello avvenuto, per esempio, con il bando Per chi crea che consente al Mic di versare un contributo per la valorizzazione dei “creativi Under 35”. Sangiuliano ha, in effetti, sganciato la sovvenzione; ma ha cancellato il criterio assai dem/franceschiano del “dialogo interculturale” con quello melonian/conservatore del “senso di appartenenza alla nazione”. E il fatto che il Ministro sia stato subito attaccato, pavlovianamente, da Arci e da sinistra, indica che la strada è quella giusta. Ora si guarda agli stranieri (Pereira, in primis)…