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Generale Jean, Xi-Putin: "Accordo per salvare la faccia a Mosca?"

Generale Jean

Maurizio Stefanini
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Un anno di guerra ha cambiato il mondo, come ci spiega il generale in congedo Carlo Jean, già comandante della Brigata Alpini Cadore ed esperto di geopolitica per l'università LUISS di Roma.

Generale, un anno fa chi pensava a un conflitto cosi lungo?
«Nessuno. La resistenza ucraina e gli aiuti occidentali hanno cambiato le cose. Putin per primo ha sbagliato dando retta non al servizio d’intelligence estero SVR, ma al servizio interno FSB, che prevedeva un rapido crollo di Kiev. Tant’è che il 21 febbraio 2022 Putin stesso rimproverò pubblicamente il capo dell’SVR, che lo avvertiva dei rischi dell’impresa».

Perché Biden va a Kiev proprio mentre i cinesi vanno a Mosca?
«La visita del presidente americano Joe Biden a Kiev è un monito agli europei perchè non siano tentati di assecondare il piano di pace che la Cina sta mettendo a punto sentendo il parere russo, infatti Wang Yi s’è recato a Mosca per discuterne con Sergei Lavrov. Ho l’impressione che russi e cinesi siano d’accordo su un piano che salvi la faccia a Mosca e dia alla Cina influenza diplomatica. La Cina è in difficoltà più di quanto si pensi. Ristagno economico, sanzioni sull'alta tecnologia, che la Cina importa, incertezze su mercato globale ed esportazioni. E la bolla immobiliare cinese, che mi pare un Superbonus formato gigante».

 



 

Bakhmut è l’attuale baricentro della lotta. È davvero così importante?
«L’importanza della battaglia urbana di Bakhmut è più simbolico-politica che tattica, anche se è vero che la zona fa da giunzione tra il fronte Est e il fronte Sud. Negli Stati Uniti, molti esperti si domandano se agli ucraini convenga davvero difendere la città, date le gravi perdite in uomini e artiglierie. I russi invece s’affidano soprattutto ai mercenari della compagnia Wagner, risparmiando le reclute dell'esercito regolare. Fra i caduti Wagner, poi, 4 su 5 sono carcerati.
Con una battuta, Putin ne approfitta per risolvere l'affollamento delle celle! Scherzi a parte, in una battaglia di logoramento, la Russia è avvantaggiata sull'Ucraina, che scarseggia di risorse».

Come giudica l'allarme lanciato al vertice di Monaco sulla scarsità di munizioni per gli ucraini?
«Il problema delle munizioni è serio. Oggi le industrie non hanno più un processo verticale, per cui in una fabbrica si costruivano tutte le componenti di una granata. Oggi una fabbrica dipende anche da componenti fornite da terzi. La Russia ha il vantaggio di avere industrie militari di Stato, mentre in Occidente bisogna convincere ad aumentare la produzione industrie private che mirano a utili. Perché investire in un’enorme produzione di munizioni per ritrovarsi dopo la guerra impianti fuori scala? In parte si ovvia con più turni di operai sugli stessi macchinari. Gli Usa però hanno deciso di aumentare la capacità dei propri impianti di munizioni per non tenere capitale immobilizzato nelle scorte».

Carri armati e aerei arriveranno troppo tardi?
«Sono 180 i carri Leopard promessi all’Ucraina, e i primi arriveranno già fra un mese e mezzo. Di essi 120 sono della versione Leopard 1A5, che aggiornata può essere pari al Leopard 2. Ma ciò di cui abbisognano gli ucraini sono artiglieria e lanciarazzi, più efficaci dell'aviazione. In una regione boscosa la stessa aviazione russa non ha avuto effetti tattici, manca di armi di precisione, meglio missili e droni. Come aereo ideale per Kiev vedrei il Gripen svedese, in grado di operare da radure e autostrade, più che l’F-16, che richiede lunghe piste.
Gli aerei non servirebbero a molto e in più obbligherebbero gli ucraini a una manutenzione difficile e onerosa. Comunque i caccia arriveranno a guerra finita».

 

 

E per proteggere Kiev nel dopoguerra?
«Sulle garanzie di sicurezza all’Ucraina già si discute. La Polonia vuole inserirla sotto la protezione diretta della Nato, mentre il segretario di Stato statunitense Blinken propende per armare Kiev affinchè si possa difendere da sola in futuro. Ma una simile spesa militare potrebbe essere troppo gravosa per il limitato Pil ucraino».

Lei stesso scrisse nel suo libro “Geopolitica” del 1995, che negli anni Novanta gli Stati Uniti riconoscevano alla Russia l'influenza sul suo “estero vicino”, cioè le nazioni dell'ex-URSS. Da allora, come s'è avuto il giro di boa?
«Sono state le pressioni dei paesi dell’Est per entrare nella Nato, ma anche le minoranze americane originarie di quei paesi a cambiare il quadro. La partnership fra Russia e Nato non funzionava. Già nel 2007 Putin accusò l'alleanza al vertice di Monaco, poi nel 2010 da Mosca dissero che “una grande potenza” non entra in un’alleanza altrui, ma ne crea di sue».

Cosa accadrà ora?
«Anzitutto il vertice di Monaco ha fallito nei confronti di Asia e Africa, che restano benevole verso la Russia. Fra le conseguenze della guerra ci sarà una spaccatura fra l’Occidente e un grande Sud Globale. Da un lato l’Occidente si è rivelato molto unito, ma l’ordine mondiale edificato dagli Usa dopo il 1945 è tramontato. Ora assisteremo a una offensiva russa seguita da una controffensiva ucraina. Vedremo se sbloccheranno la diplomazia». 

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