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Gianna Preda, la storia della cronista di destra che inguaiò Fanfani

Lorenzo Cafarchio
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«Ma i giorni in cui dimentico sono finiti, stanno per cominciare i giorni in cui ricordo». È Quentin Tarantino che fa parlare così Ringo, interpretato dall’attore statunitense Tim Roth, nella pellicola Pulp Fiction. È così che nasce la rubrica I dimenticati. Finisce qui l’oblìo, si accende la memoria. Uomini e donne della cultura seppellite sotto le macerie del progresso ritrovano la luce, ritornano a parlare. È il turno della romagnola Giovanna Pazzagli in Predassi per tutti Gianna Preda, su intuizione di Leo Longanesi, giornalista d’inchiesta che fece cadere Amintore Fanfani.

«Questa è un’Italia capace di essere sempre libera e sempre schiava, contemporaneamente». Per entrare nel mondo di Giovanna Pazzagli in Predassi, bisogna passare prima dal lungo corridoio della cultura italiana che vede seduto, sul fondo, il maître à penser di una generazione a cavallo tra Fascismo e Repubblica: Leo Longanesi. «Basta ricordare i tempi fascisti: allora vi erano moltissimi italiani liberi anche se c’era il Duce e adesso vi sono molti italiani schiavi anche se c’è la democrazia». Proprio il giornalista di Bagnacavallo, leggendo un articolo di Giovanna, firmato rapidamente come lo firmerebbe un dottore, anzi una dottoressa, trasformò il cognome da Predassi in Preda. L’avvento di Gianna Preda. Nata a Coriano l’11 febbraio 1921 attraversò il Ventennio con la schiettezza dei romagnoli. «Durante il Fascismo io non ho mai fatto parte dei milioni del consenso. Preferivo leggere, scolpire, disegnare, ascoltare musica e fare l’amore con il mio ragazzo».

Ma è possibile racchiudere in queste parole la Preda? Il suo talento di giornalista d’inchiesta esplose tra le colonne del Giornale dell’Emilia tornerà poi a chiamarsi il Resto del Carlino nel 1953- passando attraverso il bolognese Cronache, diretto da Enzo Biagi, per poi lasciare l’Emilia-Romagna e trasferirsi nella Capitale iniziando a scrivere per Epoca e Il Giornale d’Italia. A Roma, come detto, l’incontro spartiacque con Longanesi che nel 1954 la condusse a scrivere per Il Borghese. Marcello Veneziani l’ha definita l’Oriana Fallaci di destra, ma Gianna di destra lo diventò per amore e per osmosi. Nel 1943 sposò Amedeo Predassi, ufficiale della milizia della Repubblica Sociale Italiana, trovando la sua dimensione nel mondo. Ma fu la figura di Giorgio Alimirante ad accendere la sua visione d’Italia. I due arriveranno a litigare durante la campagna attorno al divorzio andata in scena agli albori degli anni ‘70.

Gianna Preda, favorevole alla fine del matrimonio, restituì addirittura la tessera del Movimento sociale italiano. Senza mai, ovviamente, separarsene. Le sue inchieste squarciarono la Nazione indemoniata degli anni ‘50 e‘60. Nel 1952, mentre collaborava per il settimanale fondato da Arnoldo Mondadori Epoca, seguì la scia di quella che venne definita operazione Sturzo. Per farla semplice alle elezioni amministrative romane l’idea era quella di creare una lista-fronda in chiave anticomunista mescolando, al punto giusto, cattolici di destra e monarchici in area Msi. L’asse della trattativa tra Luigi Gedda, presidente dei Comitati civici, e il padre gesuita Alighiero Tondi.

 

 

 

LO SCOOP

Mentre la manovra stentava a decollare, padre Tondi ebbe la folgorazione voltando le spalle alla via di Damasco, proprio al contrario di San Paolo, decidendo di abbandonare la Chiesa. Al che, per completare l’opera, sposò una militante del Partito comunista italiano. Fuggìa Berlino est. Gianna Preda, cacciatrice in barba al suo nom de plume, trovò Alighiero Tonti e l’intervista che gli concesse non le bastò. Lo trascinò in una balera dove i due vennero immortalati, la foto divenne un manifesto per le elezioni del 1953, travolti dal sacro fuoco della danza. Il 20 dicembre 1965 il suo capolavoro. Sfruttando l’amicizia con la moglie di Amintore Fanfani si fece invitare nell’abitazione del fu Presidente del Consiglio - sei volte, a scanso di equivoci - in cui capeggiavano le parole del democristiano Giorgio La Pira. La Pira aveva soggiornato per un breve periodo ad Hanoi dove incontrò Ho Chi Minh. Durante il colloquio, amicale, La Pira sbottonò, decisamente, la sua oratoria. Il pericolo comunista? Minimale. Benito Mussolini? Un uomo da ammirare. Il Vietnam? Bisognava perorare la pace con gli Usa, eppure il segretario di Stato statunitense Dean Rusk «non capisce molto». Ma vogliamo dimenticare Aldo Moro? «Molle». La Pira, durante l’incontro, fantasticò anche su un governo “monocolore” guidato da Fanfani e sorretto da Msi e Pci. La voce dell’ex sindaco di Firenze finì nel registratore che, sapientemente, Gianna aveva nascosto tra le pieghe del suo abito. Due ore di conversazione che inondarono Il Borghese finendo nell’articolo dal titolo La Pira parla in libertà. Inchiostro che fece cadere l’allora ministro degli Esteri, l’inossidabile Amintore Fanfani.

 

 

 

DONNA RACHELE

La sua carriera, stroncata nel 1981 a 60 anni da un cancro, incontrò la soave autobiografia Fiori per io (Sperling & Kupfer editori) pubblicata qualche mese dopo la morte. Una copertina candida dove emerge una bambina disegnata di spalle - con lo stile tipico degli anni ‘80 - che tiene tra le mani un mazzo di rose grande due volte la figura dell’infante. La silhouette della giovane copre un inquadramento di camice nere adornate da fez. Quella piccola è Gianna Preda. Il testo, tra la moltitudine di aneddoti, racconta della giovine in attesa della visita di Donna Rachele la moglie del Duce. Era stata designata, dal suo istituto scolastico, per la consegna a Rachele Guidi di un mastodontico omaggio florale. Sulla fronte una fascia tricolore e l’agitazione che aumentava a ogni passo che la donna faceva nella sua direzione. Il fiato sospeso, il nodo in gola. I fiori da porgere si fanno pesanti. Ma il momento arriva. Le braccia sono tese e Donna Rachele con un sorriso ringrazia: «Questi fiori sono per io?». E l’errore lessicale che turba la mente della ragazzina. Fino a mettere in crisi la sua insegnate che tutto poteva tranne contraddire la moglie di Mussolini. Finirà la sua parabola, giornalistica e di vita, lamentandosi di aver fatto troppa politica per approfondire gli aspetti più intimi della vita. Eppure leggendola assieme a Mario Tedeschi o da sola assaporiamo, ancora, l’Italia soleggiata della bellezza che diventa, ogni volta, primavera.

 

 

 

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