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Liliana Segre, l'attacco della sinistra: "Sdogana La Russa e la destra"

Renato Farina
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Ieri uno scrittore italiano, Maurizio Maggiani, vincitore dello Strega nel 2005 e di molti altri premi letterari, ha spedito dalla prima pagina de La Stampa una «lettera pubblica» a Liliana Segre. L’intendimento di Maggiani è di catechizzare l’antica ragazzina deportata ad Auschwitz. Con delicatezza, ovvio, persino con affetto sincero. «Le voglio bene, signora Liliana, senatrice della Repubblica», così si chiude l’epistola urbi et orbi, che si estende per due pagine di prosa profumata di narcisi(smo). In realtà, il probo scrittore, da autentico esperto («ci ho pensato sul serio giorno e notte») le spiega che con tutto che è una «autentica autorità morale», insieme a Mattarella per carità, però non ha capito niente di memoria, Shoah e di quello che le sta succedendo intorno. Lei lascia che la si sfrutti, si adoperi la sua immagine e la sua figura di ebrea milanese sopravvissuta al lager, per consentire alla gentaglia di ripulirsi dalle colpe del genocidio, specie nel Giorno della Memoria. Come? Maggiani ne indica due, di complici ancora viventi, per i quali « l’istituzione si fa nascondiglio» dove occultare la propria identità di novelli Eichmann, ma al noto premio Hemingway, oltre che Campiello, non sfugge niente, li ha sgamati e perciò come il loro antecedente giustiziato a Gerusalemme, sono impiccabili impiccabilissimi.

1) «Il presidente del Senato, Ignazio B. La Russa» (la B. sta per Benito, bravo Maggiani, bisogna svergognare anche i secondi nomi). Il quale ha addirittura proposto di istituire in Italia una giornata per il ricordo delle «infami» leggi razziali del 1938. Qui Ignazio B. si fa riconoscere. Infatti perché non dice che Almirante era «infame». E le leggi del 1937 erano forse meno infami di quelle del 1938?

2) Il ministro della Repubblica Matteo Piantedosi che chiamando «carico residuale» i migranti in esubero ha praticato la «riduzione dell’umano ad oggetto, premessa indispensabile a ogni politica razzista». E dunque della Shoah. (Intendiamoci, «carico residuale» è termine burocratico da dogana svizzera, ma non si può impalare la brava gente a uno stereotipo prefettizio).

 

 

 

«CONTRO L’ODIO»

Liliana Segre non ha bisogno di un difensore senza meriti come il sottoscritto, ma come si fa a non chinarsi davanti a chi come la Signora ha sempre percepito il fatto di non essere stata gasata con lo Zyklon B, e il suo corpo restato immune dai forni crematori, come indicazione di un compito: sopravvissuta perché potesse essere - io spero per cent’anni ancora - testimone «contro l’odio». Ha 92 anni, ogni giorno per lei è il tempo giusto per imprimere nella mente e nel cuore di tutti e di ciascuno quella realtà di male che non passa. È passato ma non può passare. Nessuno ha diritto di non sapere.

C’è un salto incommensurabile tra qualsiasi male accaduto nella vicenda umana e la «soluzione finale». Guai a banalizzare la Shoah, infilandola in un elenco di obbrobri. In questo senso «il Giorno della Memoria» è il luogo privilegiato per incidere con scalpello sanguinante la parola Shoah, che è molto più di Olocausto, nella profondità delle coscienze. Mica facile. Lei ha confessato di temere che quest’opera si infranga oggidì contro la corazza della noia, l’armatura prediletta della dimenticanza: «Il Giorno della Memoria è inflazionato, la gente è stufa di sentire parlare degli ebrei», ha commentato amareggiata.

 

 

 

DELUSIONE

Ed ecco arriva Maggiani. Non vedeva l’ora. Monta a cavallo di questa frase per chiedere di cancellare la ricorrenza. Ma lo sfogo della senatrice non era contro la sacralizzazione di una data, ma delusione per la progressiva erosione del suo significato, e pertanto un invito a raccontare senza filtri né retorica quella realtà «assoluta» ai ragazzi del 2023. Povera Segre. Quanta pazienza deve avere, dal suo pulpito di romanziere, il mittente dell’ “Epistola all’Ebrea” per far penetrare nella dura zucca della senatrice l’idea che questo rito «è un alibi», va abrogato.

La signora Segre dovrebbe imparare- secondo il profeta Maggiani - che non serve a niente parlare di Shoah senza quotidianamente individuare, condannare, estromettere, impedire che governino e addirittura abbiano diritto a esistere quelli che oggi ci governano. Se sei contro lo «ius soli», negando il riconoscimento meccanico della cittadinanza a chi nasca in Italia, poni le premesse di un altro Olocausto; stai preparando Auschwitz se anteponi l’«interesse nazionale» a quello globale; sposi l’ideologia dei lager e dei forni se rifiuti di ammettere che la Shoah ha avuto avvio con la marcia su Roma. Si svegli insomma, senatrice a vita, come fa a non capire che questo governo «è un nuovo inizio di qualcosa che è già stato?». Fin qui Maggiani. Come si fa a non scorgere, dietro le sue fumisterie di lirismo manierista, un odio da guerra civile? Signora Senatrice, grazie di esistere così com’è: «contro l’odio». 

 

 

 

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