Messina Denaro, Facci smonta Baiardo: "Chiacchiere senza fondamento"
Ci sono ottime ragioni per credere che Salvatore Baiardo sia un discreto cialtrone, e che la sua «profezia» sull’arresto di Matteo Messina Denaro sia una cialtronata tra le tante che ha sparato per anni: con la differenza che, questa, l’ha vagamente azzeccata, che è l’unica e determinante ragione per cui questo gelataio di Omegna, originario di Palermo, sta ottenendo più spazio dei servitori dello Stato che si sono rotti la schiena per la cattura del latitante.
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Seminiamo qualche indizio. Anzitutto non è un caso che la «profezia» sia accreditata soprattutto da quell’Antimafia che in tutti questi anni è rimasta a guardare e che si limitata imbastire giganteschi processi di archeologia giudiziaria sfociati nel nulla: basti dire che in un libro scritto da due portavoce di questa Antimafia (Marco Travaglio e Saverio Lodato, Intoccabili, datato 2005) Baiardo non viene neppure nominato, e lo stesso Messina Denaro viene citato di sfuggita senza neppure specificare che era latitante; oggi Travaglio scrive quello che scrive, e tra i dietrologi più accreditati ci sono l’ex pm Nino Di Matteo (che ha fallito i primi processi Borsellino e il procedimento sulla «trattativa») e l’ex procuratore Roberto Scarpinato (autore dei processi mafiologici più fantasiosi degli scorsi decenni) che peraltro ora è senatore dei Cinque Stelle; l’ex comunista Saverio Lodato, invece, scrive per Antimafia Duemila fondata da Giorgio Bongiovanni, sodale di Salvatore Borsellino (fratello attivista di Paolo) il quale Bongiovanni, tempo addietro, sostenne di avere le stimmate – non stiamo scherzando - e di essere la reincarnazione di uno dei bambini veggenti di Fatima; la Vergine Maria – scrisse e raccontò - gli affidò la missione di diffondere il Terzo segreto e di rivelare la verità sugli alieni; Bongiovanni fu il primo a rivelare il presuntissimo mistero dell’agenda rossa di Paolo Borsellino (una sciocchezza di cui ha parlato anche Salvatore Baiardo) ma prima fondò la rivista ufologica Terzo millennio e solo successivamente Antimafia 2000, in cui contenuti, parole sue, «iniziavano a vertere nella stessa direzione». Saverio Lodato e il procuratore Nino di Matteo, infine, hanno scritto un libro assieme titolato Il patto sporco e il silenzio. La Trattativa Stato-mafia.
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SOLO FANFALUCHE - Ma torniamo a Baiardo. La sua affidabilità, anzitutto, è quella di un mafiosetto di terza categoria (tuttofare dei fratelli Graviano) che ha scontato solo quattro anni per favoreggiamento e riciclaggio anche perché è diventato collaboratore di Giustizia. Con quali risultati? Vediamo. Iniziò a parlare con i magistrati fiorentini (estate 1994) delle segrete motivazioni mafiose che a suo dire avrebbero riguardato le stragi del 1993, ma non ci furono riscontri. Poi, durante un’udienza del processo «’Ndrangheta stragista», il dirigente di Polizia Francesco Messina mise a verbale: «Baiardo disse di avere genericamente notizie per ricostruire la latitanza dei Graviano, ci parlò dei loro contatti, ma ci disse di avere paura e non si fece nulla». Poi accennò sempre genericamente a rapporti tra Forza Italia e Cosa Nostra, ma le sue dichiarazioni non finirono in nessun’inchiesta perché Baiardo chiese di mantenere l’anonimato e non confermò le sue dichiarazioni: «Era difficile trovare una logica nel comportamento di Baiardo, non c’è mai stata una grande collaborazione, abbiamo anche avuto il dubbio», disse il poliziotto al giudice, «che il suo comportamento fosse etero diretto».
DUBBI - Dubbi di allora come di oggi. Nella trasmissione Non è l’Arena (La7) del 5 novembre scorso, quella della «profezia», Baiardo ha parlato anche di altri piste sempre rivelatesi infondate: una riguarda la fattualmente inesistente agenda rossa del giudice Paolo Borsellino (mai ritrovata) della quale ha detto: «Ho visto dei fogli che la riproducevano». Già in passato aveva sparato che ne esistessero diverse copie e aveva cercato di rivendere la patacca anche a Report (Raitre, 4 gennaio 2021) quando disse che «ci fu un grosso incontro a Orta per quell’agenda»; sempre a Report ripetè le cose già dette sui rapporti fra Silvio Berlusconi e la mafia (indimostrati) ma aggiunse una rivelazione su una vacanza dei Graviano in Sardegna vicino alla villa di Berlusconi; disse pure che furono i fratelli Graviano ad aprirgli la gelateria.
QUESTIONE DI STATISTICA - Nella trasmissione di Massimo Giletti (La7, 5 novembre scorso) ha aggiunto che il giorno della strage che uccise Paolo Borsellino (19 luglio 1992) Giuseppe Graviano era con lui in gelateria, in Piemonte: nei fatti diede un alibi a un suo mafioso di riferimento, tanto che nella stessa trasmissione i due fratelli di Brancaccio li ha definiti «ragazzi che in carcere hanno fatto un percorso» e che si erano trasferiti al Nord per «tirarsi fuori, staccando la spina a Palermo». Il forte sospetto, insomma, è che a Baiardo stia riuscendo coi giornalisti quello che a suo tempo non gli era riuscito coi Carabinieri, quando disse di essere pronto a collaborare in cambio di soldi e fornendo però informazioni che sono state definite «del tutto inattendibili». Poi, da Giletti - azzeccandola quasi in base alle leggi della statistica – ha sparato la millesima: «Come una vecchia trattativa, come è stata fatta nel ’93... magari servirà ancora... come infatti non è che lo Stato lo stia prendendo... presumo che sia una resa sua». Nessun governo ha abolito il 41bis o l’ergastolo ostativo, come Cosa Nostra si dice che avrebbe preteso in cambio di Messina Denaro: ma fa niente, i pentiti di mafia – anche di terza categoria, come Baiardo - finiscono sempre per andare incontro alle domande degli interrogandi: siano essi magistrati o giornalisti. E spesso lo fanno per soldi.
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