Marco Travaglio? Anche lui scappa dai giudici
Anche Marco Travaglio scappa dai giudici (o avrebbe tentato di farlo). Curioso, per il giornalista con la schiena più dritta di una verticale di Yuri Chechi, almeno stando alla narrazione della schiena in questione offerta dal diretto interessato e dei suoi accoliti. E la curiosa vicenda è quella che ha sorpreso i telespettatori di Otto e Mezzo nella puntata dello scorso mercoledì. Puntata assai movimentata, impossibile sopirsi, poiché il direttore del Fatto Quotidiano e Italo Bocchino se le stavano dando di santa ragione in barba ai vani tentativi della sacerdotessa Lilli Gruber di tenerli a bada.
Ora, procediamo con ordine. Si disquisiva della nomina (sfumata) di Giuseppe Valentino alla vicepresidenza del Csm. A fermare la corsa dell'avvocato di Fratelli d’Italia - toh che caso - un’inchiesta. Indagine addirittura all’odor di ’ndrangheta. «Per me è un presunto innocente ovviamente, è solo indagato», afferma Travaglio strappando un sorriso al pubblico a casa. Dunque aggiunge: «Valentino risulta in contatti strettissimi, fino a quando lo hanno arrestato, con un certo Paolo Romeo, che non c’entra nulla con l’amico di Bocchino, quello dello scandalo Consip». Eccola, la miccia che fa esplodere la gazzarra. Ma l’insopprimibile tendenza al graffio, alla battuta lacerante, in questo caso si ritorcerà contro Travaglio. Il riferimento della firma più amate dalle procure è ad Alfredo Romeo. Bocchino eccepisce: «Un po’ è anche amico tuo». «Mai stato», replica Travaglio. «Qualche frequentazione l’hai avuta». «Mai conosciuto». «Gli hai fatto un’intervista scritta, precisava delle cose...», aggiunge sibillino il direttore del Secolo d’Italia. E tocca un nervo scopertissimo.
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«Non sono stato né intercettato né rinviato a giudizio per traffico d’influenze, come siete stati tu e Romeo», contrattacca Travaglio, che cade con due piedi nel trappolone teso ad arte dell’ex deputato. «Sono lo stesso che chiamasti per chiedere la cortesia di farti togliere le cause che ti aveva fatto Alfredo Romeo. E che ti sarebbero costate molto», affonda il coltello Bocchino. «Mai chiesto nessuna cortesia!», ribatte Travaglio. «Marco, ho ancora i tuoi messaggi di ringraziamento...», cannoneggia ancora Bocchino. Et voilà, Travaglio svicola, cambia argomento, si torna a parlare di Romeo (ovviamente Paolo, non Alfredo). I messaggini Italo Bocchino non li ha mostrati. Insomma, la prova in tv non la abbiamo vista. Ma la reazione di Travaglio è un indizio di quelli pesanti. Immaginatevelo: proprio lui, scrivere a un tipaccio come Bocchino per dribblare una querela. Per evitare i giudici. Un godibile contrappasso per la nutrita schiera di tapini a cui il giustizialismo - e il loro re - stanno sul gozzo.
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ACCADDE IN QUEL 2015
La “mancata” querela a cui fa riferimento Bocchino risale infatti al 2015. Matteo Renzi era premier, l’Unità stava per fallire e Alfredo Romeo l’avrebbe voluta acquisire (affare che ha chiuso sette anni dopo, lo scorso novembre). A Travaglio la vicenda non piaceva e così prese a manganellare l’imprenditore napoletano dalle colonne del Fatto. Lo fece citando una condanna per peculato in primo e secondo grado ma “scordando” l’assoluzione in Cassazione (arrivata dopo 79 giorni trascorsi dietro alle sbarre di Poggioreale). Romeo minacciò una querela «da fargli chiudere il giornale» (così si raccontava), Bocchino intervenne, e la querela sfumò. Ma a caro prezzo per Travaglio: il 16 maggio 2015, il Fatto pubblica un'intervista proprio ad Alfredo Romeo, la «dolce intervista», per usare le parole dell’epoca di Mattia Feltri. Ovvero, intervista inginocchiata. Tu quoque, schiena drittissima Travaglio. E infatti lui e il Fatto incassarono un cospicuo diluvio di sfottò, compresi quelli che fanno più male, quelli dei loro lettori. A onor del vero, quando pochi mesi dopo esplose lo scandalo Consip, Travaglio tornò a triturare Alfredo Romeo il quale - povero illuso - in un’intercettazione si diceva certo del fatto che dopo quell'intervista riparatrice Travaglio avrebbe smesso di fargli le pulci.
IL CASO CONSIP
Ora torniamo al duello rusticano da Lilli Gruber, perché su quanto accaduto è necessaria un’ulteriore considerazione. Come vi abbiamo raccontato, il Travaglio accecato dalla rabbia ha rinfacciato a Bocchino di essere stato intercettato e rinviato a giudizio «insieme a Romeo» nell’inchiesta Consip. Tutto vero, il processo a Bocchino per il fumoso reato di “traffico di influenze” deve ancora essere celebrato (evitiamo digressioni sulla controversa natura del reato). Vero anche, però, che Bocchino è stato prosciolto dalle tre accuse più gravi (due turbativa d’asta e false fatturazioni). E vero anche che Travaglio si è ben curato dal ricordarlo.
Ma d’altronde Travaglio è uno che il 2 marzo 2017 titolava a tutta (prima) pagina: «Arrestato Romeo», «Tangenti a Consip e 30mila euro al mese promesse a babbo Renzi». Quanto gusto, nel vergare quel titolone. Peccato che cinque anni dopo - un lustro di gogna mediatica e bastonate travagliesche - Romeo fu assolto «perché il fatto non sussiste». Insomma erano tutte balle. Ovviamente all’assoluzione, sul Fatto, non fu dato altrettanto spazio. Su questo non eccepiamo, non è bello ma così fan tutti. E così legittimamente fa anche Travaglio. Quello che scrive a Bocchino per evitare una querela.