Saviano voleva interrogare Meloni: solito piagnisteo in tribunale
Strano tipo questo Roberto Saviano. Ogni giorno alza il prezzo del suo martirio tutto personale. Ci crede solo lui, interprete solitario di una sceneggiata che continua ad alimentare in proprio. Ieri ha frignato persino sulla mancanza di Giorgia Meloni, nel processo per la querela che lei, cattivona, ha presentato nei confronti di lui, poverino. Non sarà testimone, il pm non l'ha convocata per deporre come parte civile. La querela è chiarissima, evidentemente: si tratta solo di capire se si può impunemente sparare un «bastardo» in diretta televisiva verso un avversario politico e non pagare dazio in tribunale. Non ci sarà «confronto», si lamenta lui, ovvero la sceneggiata che sognava. Ma l'imputato è lui, non la Meloni. Sembra quasi che Roberto Saviano confidi nella prescrizione.
Quella parola sparata dalla televisione in faccia alla Meloni gli è costata una querela ma non gli basta. E ora che a processo ci si ritrova perché lo ha deciso un giudice e non Palazzo Chigi, piange persino ogni giorno che c'è un'udienza. Con argomenti abbastanza patetici. Lo chiama processo Meloni, invece è lui l'imputato che frigna ogni giorno. In tribunale per la terza udienza si è lamentato pure perla velocità del processo che lo riguarda: «Tre udienze in meno di un mese: pare che la giustizia italiana abbia messo il turbo», in pratica offendendo il magistrato che fissa le date.
"Quando sono imputato io...": Saviano oltre il ridicolo, perché attacca i giudici
LA MINACCIA
E poi minaccioso: «Questo è un processo importantissimo in cui chi mi porta alla sbarra ha da perdere molto più di me». Un modo di argomentare coerente con i suoi insulti via tv e che certo non aiuta la sua causa... In realtà, a Saviano sarebbe bastato assumersi le responsabilità che ha, asciugandosi le lacrime finte che mostra in pubblico. Mostrarsi come un uomo che sa di aver sbagliato, insomma, e magari scusarsi con chi ha offeso. Invece insiste con lo show: quella frase, gli chiedono i giornalisti? «Assolutamente, la userei ancora e dinanzi a quelle immagini che tra l'altro portarono alla morte di un bimbo in mare». Come se fosse colpa della premier e non degli scafisti. No, con un atteggiamento più umoristico che eroico, Saviano va avanti ad insolentire, manifestando pure sfiducia nei confronti del giudice terzo che dovrà pronunciare la sentenza di cui ha terrore. Anche questo è un condizionamento. O almeno un tentativo.
«Giorgia Meloni non sarà testimone in questo processo, è incredibile, non è stata chiamata né dal pm né dalla parte civile», borbotta «e io mi ritroverò a dover rispondere alle accuse senza la possibilità del confronto con il primo ministro che probabilmente teme una debolezza in questo processo». E allora perché non lo ha suggerito al suo legale, se è così importante il faccia a faccia come se si trattasse di un altro ring televisivo? «Qualora ascoltati, ha detto anche riferendosi a Salvini, dovrebbero rispondere delle scelte politiche fatte in questi anni, che sono poi la materia del mio giudizio nei loro confronti. Io da scrittore rispondo delle mie parole, loro no», ha detto Saviano fuori dalla città giudiziaria. «Si sente un peso importante, che in quest' aula c'è da una parte lo scrittore e dall'altra il primo ministro. E quindi probabilmente si tende a tutelare la funzione del primo ministro. In quale altro processo chi presenta querela e si dichiara parte civile poi non viene sentito come testimone? Lo trovo singolare e sento una pressione enorme».
Video su questo argomentoSaviano, ancora fango su Meloni: "Incredibile, si sottrae"
Il piagnisteo di Saviano sta davvero diventando insopportabile; nessuno oserebbe mai lamentarsi per la velocità di un processo. E nemmeno indosserebbe i panni del pubblico ministero e del tribunale su quali testi proporre di ascoltare. Ma siccome tocca a lui essere imputato, non vorrebbe celerità, non si sa mai dovesse essere considerato colpevole. Scrivono le persone comuni sui social: «Avesse evitato di dire "bastarda" alla Meloni non ci sarebbe stata nessuna terza udienza, nemmeno la prima e la seconda». Ma se si pretende di rivendicare il diritto ad offendere una persona, è evidente che si finisce in tribunale. Anche perché dovrebbe essere giusto sapere piuttosto se certo intellettualismo è al di sopra della legge e nel "diritto" di offendere chiunque non abbia idee di sinistra.