Saviano si lamenta se la giustizia funziona: "Quando sono imputato io..."
Nella sua Napoli la chiamano fare ammuina, cioè creare confusione attorno a una situazione. Nel resto del Paese si potrebbe tradurre con "buttarla in vacca", con analoga traduzione. È quello che sta facendo Roberto Saviano, che proprio non riesce a farsi una ragione del fatto che se tu insulti una persona, anche se sei uno scrittore famoso, puoi essere querelato e finire sotto processo. Anche se questa persona nel frattempo diventa presidente del Consiglio. E non è detto che per "dovere istituzionale" - chissà poi perché- la si debba ritirare, la querela.
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La vicenda è nota, ma merita un breve riassunto: correva l'anno 2020. Saviano, ospite di Piazzapulita su La7 dà dei «bastardi» a Giorgia Meloni e Matteo Salvini, dopo aver visto un servizio sui migranti. Ovviamente Meloni e Salvini - sentendosi insultati - decidono di sporgere querela. I giudici, presa in mano la pratica, optano per procedere e rinviare a giudizio Saviano con l'accusa di diffamazione a mezzo stampa - tv in questo caso - , un reato per il quale si rischiano fino a tre anni di carcere.
Il tempo passa e la prima udienza del processo arriva. È il 16 novembre scorso e Saviano trasforma il tribunale di Roma in una grande sfilata di stelle e starlette della letteratura e della tv.
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Tutti accorsi a spiegare quanto sia santo Saviano e quanto siano meno santi quelli che lo hanno querelato. È in questa occasione che il nostro se ne esce con la strampalata teoria secondo la quale essendo lui un famoso scrittore può insultate chiunque, come fosse una sorta di licenza poetica. La vera perla, però, Saviano se l'è tenuta per ieri. In un Paese dove ci si lamenta per la lentezza della giustizia, lui è riuscito a farlo per il motivo opposto. Scrive Roby: «Metà novembre 2022 prima udienza processo Meloni. Oggi la seconda e domani la terza. Da vittima di minacce mafiose 15 anni fa non si è celebrato ancora l'Appello. Da imputato, invece, la giustizia va spedita... Ma l'importante è che sia equa e trionfi, no?». Caro Saviano, magari i processi fossero tutti così celeri...