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Repubblica, scoppia la guerra-Soumahoro: chi asfalta Concita De Gregorio

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È guerra a suon di inchiostro tra le colonne di Repubblica a proposito di Liliane Murekatete, la cosiddetta lady Soumahoro. A scrivere un articolo (surreale) in sua difesa, ieri, è stata Concita De Gregorio. Grazie al paragone (forzato) con Chiara Ferragni - e una sfilza di tante altre donne di successo che lavorano grazie alla propria immagine - il suo nome, quello di Concita, è schizzato nei trends topic di Twitter ed è stato commentato ovunque. Evidentemente troppo, però. A tal punto che questa mattina, proprio sulle pagine del quotidiano romano, non è potuta non andare in scena la risposta che mette a tacere l'editoriale della giornalista e conduttrice tv. A replicare, questa volta, e a spiegare le ragioni del perché la moglie di Aboubakar Soumahoro sia "indifendibile" ci ha pensato Francesco Bei.

 

 

sbagliato accostare Chiara Ferragni o Diletta Leotta a Liliane Murekatete. Possiamo discutere se sia legittimo o meno, quanto sia davvero femminista "vendersi" la propria nudità per vendere un prodotto, quanto dobbiamo essere post-moderni per ritenerla una cosa normale", esordisce Bei. "Lo accetto, come Concita, senza moralismi. Lo accetto da Ferragni, liberissima di fare quello che vuole. Non lo accetterei invece da Murekatete, che di mestiere non fa l'influencer, ma dovrebbe gestire una cooperativa che aiuta gli ultimi tra gli ultimi, quelli arrivati in Italia senza nemmeno un paio di scarpe". La replica del giornalista, dunque, va dritta al sodo. Dato che la De Gregorio nella sua lunga disamina ha dimenticato un dettaglio piuttosto rilevante. Liliane Murekatete faceva parte del consiglio di amministrazione di cooperative solidali che gestivano il lavoro degli extracomunitari, ricevendo cospicue sovvenzioni statali. E benché nel mirino delle autorità sia finita la madre, appare decisamente improbabile che Liliane non sapesse nulla di quanto stava accadendo.

 

 

"Il problema - prosegue Bei - è politico, non penale. Il problema sono le testimonianze univoche delle decine di vittime - uso volutamente un termine forte - del "sistema" Murekatete. Se lasci al freddo dei ragazzini, li nutri a pane e acqua e non dai loro nemmeno quei pochi spiccioli che la carità di Stato prevede come argent de poche, sei su un piano morale (morale: un aggettivo da rivalutare) diverso, diciamo così, da Ferragni". Insomma, "non c'entra il colore della pelle. Non c'entra il razzismo per quelle persone, soprattutto di sinistra, che sono rimaste giustamente inorridite dalla vicenda Soumahoro. C'entra invece la professione di Murekatete, il senso della sua missione, il fatto che abbia forse ingannato i migranti che le erano stati affidati affinché se ne prendesse cura, il fatto che abbia sfruttato, insieme alla madre, i lavoratori alle sue dipendenze lasciandoli senza stipendio per mesi. È qui che la questione delle fotografie esplode. Mi riferisco agli scatti pubblici con i vestiti firmati". Infine, conclude il giornalista, "proprio perché la sinistra si vanta di avere degli standard morali diversi e più alti, il tonfo quando cade fa più rumore". Come dargli torto?

 

 

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