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Michela Murgia, che imbarazzo: chi ha querelato. Come lo spiega?

Pietro Senaldi
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Tra i privilegi che gli intellettuali progressisti della sinistra italiana riconoscono solo a loro stessi, quali signorotti della società medievale che rappresentano, quella per la quale «io sono io e tutti gli altri sono bastardi», esiste anche il diritto a non essere coerenti. Ci stiamo riferendo a quel che pensa e scrive Michela Murgia, scrittrice, opinionista televisiva, critica d'arte, blogger, giornalista, sovra-estimatrice di se stessa e altro. Sulla Stampa, nuovo allegato quotidiano al più moderato mensile Lotta Comunista, la signora ha attaccato Giorgia Meloni, tanto per fare una cosa nuova.

 

 

 

La granatona di Sardegna, Michela ha il solo pregio di essere di Cabras, ci ha pestato pesante, come sua abitudine. Stavolta ha rimproverato alla sua non amata premier l'intenzione espressa di non ritirare la querela al suo amato collega, Roberto Saviano, che le ha dato della "bastarda" per le posizioni prese contro le navi delle ong che importano clandestini in Italia, arricchendo gli scafisti. Davanti al giudice, argomenta la Murgia, un premier e un intellettuale di sinistra «non hanno i medesimi strumenti economici, mediatici e di influenza per far valere le proprie ragioni», pertanto l'iniziativa della Meloni minerebbe le libertà espressive di Saviano.

 

 

 

 

POTENZA MEDIATICA

Che dire, la signora ha ragione. Chiunque conosca la storia recente d'Italia sa benissimo che, di fronte a un magistrato un premier e un intellettuale di sinistra non sono alla pari, perché il secondo è quattro gradini sopra il primo. Quanto alla potenza mediatica, che dire? Saviano è firma di punta del più importante e autorevole quotidiano italiano, il Corriere della Sera, il cui direttore si è speso per difenderlo, incalzando la Meloni nella prima intervista da lei concessa come presidente del Consiglio, affinché ritirasse l'esposto contro il suo esuberante collaboratore. Anche sui soldi ci sarebbe poi da ridire, essendo piuttosto improbabile che il premier metta in conto a Palazzo Chigi la parcella del suo avvocato e non impossibile che l'autore di Gomorra trovi invece qualche padrino letterario pronto a coprirlo. Ma quel che è più incredibile di questa vicenda è il doppiopesismo che la Murgia usa verso se stessa.

 

 

 

D'altronde, da quelle parti è prassi predicare in un modo e razzolare in un altro. L'intellettuale, blogger, presentatrice eccetera ha provato ad arricchire il proprio curriculum anche con la politica, candidandosi alla presidenza della sua Regione, una decina d'anni fa, per Possibile, il partito ossimoro fondato da Pippo Civati e altri naufraghi del comunismo che fu. L'avventura durò poche settimane, ma bastarono perché la suddetta querelasse tanto il governatore sardo del centrodestra di allora, Cappellacci, quanto nientemeno che l'Unità, l'allora organo di partito dei diessini-piddini. La Murgia se la prende con la Meloni perché sa che, sia lei che Saviano, sono una causa persa, per il ragionamento, l'obiettività e la giustizia. Lo scrittore ha elevato a licenza letteraria l'ignobile arte dell'insulto, sostenendo che, in bocca lui, la parola "bastardo" è cultura, evocazione, poesia, «strumento di persuasione». Per chiudere la vicenda, sui giornali e in tribunale, sarebbe stato chiedere scusa. Di tutto abbiamo bisogno, tranne che di maestri di pensiero che parlano come i malavitosi sulle cui barbarie hanno fatto successo.
 

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