Roberto Saviano? Ora reclama il diritto di insultare la Meloni
Il cinema in tribunale. La sceneggiata a Palazzo di Giustizia. Un attore, più che uno scrittore, quel Roberto Saviano là. Solo che ha sbagliato palcoscenico, location, sito. Perché ci vuole rispetto anche per il luogo dove la legge si applica. Non chiedono autografi i giudici. Dopo aver fatto sapere al mondo che ieri mattina avrebbe offerto il collo alla ghigliottina della Meloni che lo aveva querelato, da piazzale Clodio Saviano se ne è andato dopo pochi minuti - tanti quanto la durata della prima udienza così come era arrivato. Ha provocato solo un po' di fastidio a chi lavora.
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In tribunale ci stava perché giustamente alla Meloni non piace essere definita "bastarda" a mezzo tv - e neanche a Salvini, offeso assieme a lei in una trasmissione di Corrado Formigli del dicembre 2020 e che ha depositato la propria costituzione di parte civile - e decise di procedere. Non era presidente del Consiglio, ma esponente dell'opposizione e contestava le politiche della sinistra di Conte e Lamorgese in materia di immigrazione clandestina.
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L'eroico Saviano spera in una specie di grazia, visto che l'avvocato del premier ha detto che rifletterà con la sua assistita se ritirare la querela. Anche se quella lingua impunita di uno scrittore che pensa di poter offendere chiunque meriterebbe una bella punizione. Ma la Meloni non vuole farlo passare per martire, probabilmente. Il che per Saviano può anche essere peggio. Se ne riparlerà il 12 dicembre, alla seconda udienza e chissà se l'imputato sarà scortato in misura notevole come ieri. Già, perché oltre a chi si deve occupare di lui, c'erano anche altre note lingue urlanti, del calibro di Michela Murgia e di Massimo Giannini, direttore di quella Stampa che un tempo era la testata elegante dell'avvocato Agnelli.
Non pare vero a Saviano, evidentemente, di poter esibire la solidarietà di quelli come lui.
L'odio contro la destra è cemento per costoro, al punto che le panzane si sprecano: sono «il giornalista più processato da questo governo», afferma Saviano e a uno verrebbe da chiedersi tutto questo in un mese appena trascorso dall'insediamento dell'esecutivo Meloni... Ma il noto imputato dimentica che si può essere processati per 9 anni pure per vilipendio del Capo dello Stato, risultare innocente e nessuno che ti chieda scusa. A proposito di rapporto col potere. Tutta pubblicità, quella che gli deriva da un processo appena iniziato e quasi potrebbe dispiacerci se davvero dalla Meloni arrivasse un gesto di magnanimità verso chi non lo merita. Una sfilza di testimoni della "difesa": lo stesso Salvini, il neoministro dell'Interno Piantedosi - che del leghista aveva la colpa di essere capo di gabinetto- poi Gasparri e persino il Pd Minniti. Curiosità: tra i testi di Saviano non potrà mancare proprio Formigli, magari dovrà raccontare come era scosso il suo ospite quando sibilava la parola "bastardi".
Sì, un martire, quando sputacchia le sue sentenze: «Ritengo singolare che uno scrittore sia processato per le parole che spende, per quanto dure esse siano, mentre individui inermi continuano a subire atroci violenze e continue menzogne». Se uno scrittore offende, è invece sacrosanto che possa essere processato. Non può esistere l'impunità. Invece lui si lamenta, persino quando ha appreso della presenza di Salvini al processo come richiesta di poter essere parte civile. Non può difendersi, l'ex ministro? Di più, Salvini ce l'ha proprio con me, pare lamentarsi Saviano: «Salvini lo avrò contro sia in questo processo sia nel processo l'anno prossimo per la frase «il ministro della malavita». Perché, è normale definire ministro della malavita chi i clan li deve combattere ogni giorno, anche correndo qualche rischio? È davvero sconcertante, l'imputato Saviano. Perché teme di trovarsi di fronte quelli che appellò come "bastardi" in televisione, senza alcun contraddittorio, una possibilità di rispondergli come meritava. Del resto, non a caso si era scelto la trasmissione a senso unico, quella chiamata Piazza Pulita. Sì, quella che pretende di fare piazza pulita degli avversari politici. Il tribunale delle chiacchiere.