Laura Boldrini, "signor presidente": umiliazione finale, la regola delle regole
Il quesito è gravido di dubbi. Possibile che, con tutti i casini che abbiamo - carovita, guerra, inflazione, Memo Remigi che palpeggia chiunque - l'attenzione degl'italiani debba concentrarsi sulla nota della Presidenza del Consiglio dei ministri a certificare che l'appellativo da utilizzare per l'abitatrice di Palazzo Chigi è «Il Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Giorgia Meloni»? Eppure può accadere anche questo. Che il dibattito pubblico si sposti dall'emergenza politico-economica al livello grammaticale, causando ora le ire delle femministe da Laura Boldrini in giù; ora la reazione dei, per così dire, reazionari; ora l'ironia degli elettori più curiosi. Certo il «signor Presidente» evoca una fluidità gender involontaria. A chiamarla, invece, la «signora Presidente» si fa il gioco della Boldrini. Ad azzardare, con vezzo, «la signora Presidentessa», poi, il richiamo è alla pochade omonima di Maurice Hennequin e Pierre Veber, che ha avuto ben due remake cinematografici di Luciano Salce e Pietro Germi; ma non credo che fosse onestamente nelle intenzioni di Palazzo Chigi.
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Nell'accesissima querelle linguistica, ad un certo punto, è intervenuta Beatrice Venezi che si fa appellare «il direttore d'orchestra» e non «la direttrice d'orchstra», perchè, giustamente, la vera strada dell'emancipazione non è quella di aggiungere ipocrite quote rosa, bensì quella di sottrarre agli uomini anche l'appannaggio degli articoli determinativi. Dopodichè, contro la Meloni s' è fatta strada la virologa Antonella Viola a Otto e mezzo su La7 a sventolare una boutade imbarazzata («Chiamerò Salvini la vicepresidente del Consiglio...»), incorrendo peraltro nel rischio che Salvini le risponda. Infine è arrivata la Treccani che ha bacchettato l'uso dell'articolo "il" davanti alla Presidente. Ma, subito dopo, a riequilibrare, ecco il templare (o la templare?) dell'italica lingua: l'Accademia della Crusca. Che, nella figura del suo Presidente Claudio Marazzini, tiene a precisare che entrambe le forme -"il " e "la" Presidente- sono, in realtà corrette. La lingua italiana, non vieta di utilizzare il maschile per riferirsi a cariche ricoperte da donne. Perchè non si bada, qui, al sesso ma all'istituzione che è neutra. «Chi preferisce le forme tradizionali maschili ha comunque diritto di farlo», attesta la Crusca. Si tratterebbe, quindi, di una preferenza e non di un errore grammaticale, ha continuato Marazzini concludendo che «chi usa questi femminili accetta un processo storico ormai ben avviato».
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Mentre la scelta di chi usa il maschile può essere «dettata dall'appartenenza anagrafica a una diversa generazione, o da una cosciente scelta ideologica». E, in questo caso, appunto, trattandosi di una leader politica 45enne, direi che la scelta ideologica è coscientissima. Cioè: il femminile non è un obbligo, ma un'opzione. Quindi «Il Presidente Meloni» è ok. Il problema si pone per quel «Il signor Presidente» che, al di là della cacofonia, detto così potrebbe figurare sull'invito a una festa gay del Muccaassassina. E qui, fortunatamente è intervenuta la rettifica del segretario generale di Chigi, Carlo Deodato: la richiesta di Meloni era quella di usare solo «Il Presidente del Consiglio dei Ministri», e quindi di non tener conto della prima circolare. Non abbiamo mai atteso la Legge di bilancio con tanto sollievo...