Sabino Cassese, dopo il voto: "Destra al governo? Ecco cosa la attende"
L'esito del voto di domenica prossima, nel senso di vincitori e sconfitti, si può già ipotizzare. Quello che nessuno è in grado di immaginare è cosa scaturirà dallo scenario che le urne ci consegneranno il 25 settembre alle 23. Quale governo, con chi, e soprattutto quanto durerà e quanti ne cambieranno nell'arco della prossima legislatura. Le premesse non sono del tutto rassicuranti. Libero ha per questo contattato Sabino Cassese, giurista, professore, giudice costituzionale, ministro di Ciampi, editorialista del Corriere, potenziale presidente della Repubblica nei convulsi giorni del gennaio scorso. Ma soprattutto, eminenza nazionale e conoscitore delle evoluzioni e degli equilibri della nostra Italia, in vero piuttosto disorientata in questo frangente.
Tre governi retti da tre maggioranze diversissime: ci lasciamo alle spalle la legislatura peggiore di sempre?
«Sono molte le cose che non hanno funzionato, e riguardano sia la società sia lo Stato. Nella società, l'estrema volatilità dell'elettorato e la sostanziale sparizione dei partiti come associazioni. Nelle istituzioni, la formula elettorale della legge Rosato del 2017, che ha introdotto un sistema che non è né proporzionale né maggioritario, e costringe le forze politiche, da un lato ad allearsi, dall'altro a competere».
I parlamentari sono tutti nominati ma i cambi di casacca sono stati oltre 400, più di un terzo: come se lo spiega?
«I cambiamenti di posizione politica in Parlamento, legittimi, ma preoccupanti per l'alto numero, derivano dalla debolezza delle appartenenze e quindi dalla inconsistenza delle forze politiche, in cui il vincolo associativo è debole».
Hanno fatto bene allora i leader a infarcire le liste di fedelissimi, a scapito della qualità?
«Non credo che l'alternativa stia soltanto tra sudditanza e qualità: i cambiamenti derivano dal fatto che non vi sono idealità condivise».
Il mini Parlamento dovuto al taglio dei parlamentari porterà ancora più instabilità?
«Non si può dire che porterà a maggiore instabilità. Accentuerà gli effetti della instabilità, perché la diversa collocazione politica anche di pochi parlamentari può far cadere governi, essendo inferiore il numero dei rappresentanti».
Anche per questo si prevede un astensionismo vicino al 40%?
«Le componenti sono molte. Le formule elettorali prescelte che lasciano tanto poco spazio di manovra all'elettore. L'impressione che le forze politiche non riescano a smuovere il corpo pesante dello Stato. Un'offerta politica che non riesce a cogliere la complessità della domanda politica della società italiana».
Perché abbiamo così tanti partiti che nessuno ne conosce il numero e di molti ignoriamo anche noi tecnici il nome: non sarebbe a questo punto meglio tornare al proporzionale?
«In presenza di un elettorato tanto divaricato, frammentato, diviso, che si riflette anche nel corpo politico, certamente è meglio escludere formule elettorali miste e cercare di adottare o sistemi elettorali fortemente maggioritari, come quello inglese, con collegi piccoli e numerosi nei quali vince chi ottiene la maggioranza (o la più alta minoranza) dei voti, oppure un sistema proporzionale. Il sistema di tipo britannico è criticato da coloro che pensano che le minoranze finirebbero per essere annullate, ma i suoi sostenitori affermano che con collegi piccoli e numerosi è altamente probabile che le minoranze possano mandare in Parlamento i loro rappresentanti».
Qual è la vera differenza oggi tra destra e sinistra? Visto che ciascuna dice tutto e il suo contrario...
«Proprio questa sovrapponibilità dell'offerta politica mostra la debolezza delle forze politiche che non riescono ad interpretare i bisogni della collettività e a fornire una risposta».
Siamo ancora un popolo di guelfi e ghibellini, divisi dall'ideologia e delle chiese più che dai fatti?
«Il passato è parte del presente». La Meloni ha proposto una Bicamerale, che Letta ha per ora rifiutato. Ci servirebbe? «Se si vuole cambiare la Costituzione, la strada è quella prevista dalla Costituzione stessa. Una alternativa già proposta è quella di una sorta di assemblea costituente, che lavori separatamente dal Parlamento, fermi, poi, il passaggio parlamentare previsto dalla Costituzione e l'eventuale referendum nel caso che si raggiunga solo la maggioranza assoluta».
Quanto sarebbe rivoluzionario per l'Italia avere una donna premier e il Paese è pronto?
«È certamente un vantaggio, al quale va aggiunta qualche qualità personale, come una notevole lucidità e capacità di scelta degli obiettivi».
Chiunque vinca eredita una situazione complicata: è più idoneo a gestirla un governo puramente politico o uno più tecnico?
«Chiunque svolga il ruolo di ministro, qualunque sia la sua provenienza, è un politico. La vera distinzione è tra persone che fanno parte di corpi politici e sono elette, e persone scelte nella società civile che ottengono la fiducia del Parlamento, nonostante che non ne facciano parte. Questo era previsto dai costituenti, che non hanno posto la condizione di essere parlamentari per la nomina come ministri. In altri ordinamenti, come quello americano, addirittura chi voglia diventare ministro deve dimettersi dal Parlamento».
Draghi in realtà aveva i numeri per andare avanti anche senza M5S: avrebbe dovuto farlo per il nostro bene o ha fatto bene a cedere alle pressioni del Pd, che non voleva andare avanti senza grillini?
«Vi sono state diverse componenti di quella decisione. Primo: sarebbe stato difficile, per le tre forze politiche di centrodestra, partecipare a una campagna elettorale, con un governo in carica, due delle forze dentro e una fuori. Secondo: una valutazione della difficoltà di continuare uniti nel Paese, divisi in Parlamento. Terzo: una valutazione più personale del presidente del consiglio, che ha sottolineato il contrasto tra società civile e sfaldamento della sua maggioranza».
La sinistra parla di rischio democrazia in caso di vittoria del centrodestra. Non sono la crisi delle bollette e l'inflazione il vero rischio di tenuta democratica del Paese?
«L'Italia ha attraversato, senza gravi danni per la democrazia e la libertà, fasi peggiori: il terrorismo, l'austerità, l'inflazione a due cifre. Inoltre, tutte le misure destinate a moltiplicare le fonti di approvvigionamento e la conseguente diminuzione nella quantità di gas russo, provano che la crisi potrebbe avere una durata breve. Sono quindi fiducioso».
Cosa pensa delle indiscrezioni arrivate da Washington su politici e partiti pagati da Mosca: non è un'ingerenza da parte degli Usa gettare il sasso nello stagno senza dare vere informazioni?
«Nei rapporti tra Stati, su argomenti di questo tipo, il silenzio è d'oro. Tanto più se i governi sono alleati e tanto più se sono in corso elezioni. Se si vuole privilegiare la trasparenza, invece, le informazioni vanno date tutte e i rapporti vanno pubblicati integralmente».
Il centrodestra e la Meloni partirebbero con un handicap all'estero?
«Quando in un'assemblea condominiale arriva un nuovo condomino è naturale che l'assemblea lo guardi con una certa curiosità. Ed è quindi bene che il nuovo condomino si faccia presto conoscere, non solo con le dichiarazioni, ma anche con i fatti, per far capire che intende rispettare le regole del condominio».
C'è un tentativo in atto di staccare la Meloni da Salvini, o Salvini dalla Lega, per spaccare il centrodestra e ritornare a uno scenario di grande coalizione?
Consideriamo l'Italia dal punto di vista degli altri Paesi. Vedono governi che cambiano continuamente. Osservano forze politiche che fanno e disfano alleanze. Notano che vi sono forze politiche molto oscillanti. Non dobbiamo poi meravigliarci se o non ci prendono troppo sul serio, o privilegiano coloro che rappresentano la continuità».
Da Renzi a Salvini ai grillini: grandi salite rapide discese. Rischia anche la Meloni o lei è più strutturata?
«Non c'è partito che sfugga a questo rischio: basta esaminare il numero degli iscritti, il radicamento sociale, la diffusione territoriale, la coesione delle strutture interne, la frequenza dei congressi nazionali e il modo in cui si rapporta il leader alla base».
Quanto è reale l'unità del centrodestra? E terrà qualsiasi possano essere i rapporti di forza tra i partiti dopo il 25 settembre?
«Non vi sono soltanto i numeri e i rapporti di forza. Vi sono tante altre componenti: la capacità di capire i propri avversari ed alleati, la forza di convinzione, l'apertura al dialogo, la capacità di giungere a compromessi, l'abilità nel negoziare. Sono tutte doti che un bravo politico dovrebbe avere».
Letta non si è alleato con il Movimento 5 Stelle e neppure con Calenda, ma già il Pd parla di un riavvicinamento con i grillini dopo il voto: che senso avrebbe e il segretario dem ha sbagliato tutto o ha fatto bene?
«Ritorniamo al problema di prima: bisogna considerare non solo queste oscillazioni al vertice, ma anche i flussi elettorali alla base».
Perché i dem non riescono a diventare un partito progressista moderno, in stile nord Europa?
Per due insufficienze: di analisi della realtà e comprensione dei bisogni sociali dell'elettorato; per incapacità di formulare un progetto, prospettare un futuro».