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Flavio Briatore, "ero povero anche io ma...": la frase con cui spazza via le critiche

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Hoara Borselli
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Ogni sua dichiarazione innesca una polemica. Era lo scorso maggio quando Flavio Briatore disse: «Chi crea ricchezza sono le aziende, non ho mai visto un povero creare posti di lavoro». Il linguaggio mediatico è partito e noi lo abbiamo raggiunto.

Flavio, il tuo nome è in tendenza ovunque. Cosa pensi di aver detto di così terribile per meritare accuse come quelle che ti stanno rivolgendo?
«Non ho detto nulla di terribile se non la verità. Sono le aziende ad offrire lavoro, sono gli imprenditori come meche investono,che possono offrire la possibilità alle persone di lavorare e guadagnare. Non riconoscere questo significa non riconoscere un dato oggettivo e rimanere ancorati all'idea che chi fa impresa sia il male assoluto e per andare avanti ci si debba aggrappare ai sussidi statali tipo il reddito di cittadinanza».

Ti stanno accusando di criminalizzare i poveri.
«È una follia. Io sono l'esempio di una persona nata povera che lavorando si è costruita la sua ricchezza. Potrei mai criminalizzare i poveri quando io lo sono stato? Il primo a essere criminalizzato sarei io».

Hai dichiarato che da ragazzo in estate raccoglievi le mele e le fragole e che oggi è difficile trovare ragazzi con la fame di lavoro, con spirito di sacrificio. Oggi sembra che cerchino il lavoro sperando di non trovarlo.
«Le mie affermazioni non sono accuse infondate ma il risultato di ciò che capita nelle mie aziende. Quando facciamo colloqui di lavoro le prime cose che i ragazzi chiedono sono se hanno i week end liberi, quali sono i giorni off. Vogliono avere più tempo libero. È cambiata la cultura, manca la motivazione. Credo che in loro oggi ci sia la convinzione di non farcela e quindi pensano che tanto vale stare a casa a far niente ed essere sostenuti dal reddito di cittadinanza».

A te questo reddito proprio non va giù.
«Credo che sia doveroso e sacrosanto aiutare gli inabili al lavoro e chi veramente non possiede altri mezzi di sostentamento. Elargire questo sussidio a ragazzi di età compresa fra i venti e i venticinque anni, in un Paese che vive di turismo, nel periodo compreso fra aprile ed ottobre è una follia. Così facendo mettiamo le imprese del settore in ginocchio e non incentiviamo i ragazzi a lavorare».

Ripeti sempre che l'Italia è un Paese dove è difficile investire. Quali sono secondo te le cause?
«L'Italia è un Paese che non investe nelle imprese, che non agevola le aziende. Tra tasse e burocrazia è veramente una guerra. Possibile non capiscano, i governanti in primis, che se le aziende funzionano si possono pagare gli stipendi, si possono generare posti di lavoro e far crescere l'economia? La soluzione non è data dall'elemosina per sopravvivere. Dobbiamo uscire da questa cultura statalista che fa morire le imprese. E se muoiono le imprese, muore il Paese».

Spesso dici che in Italia c'è troppa invidia sociale. Una dimostrazione a questa tesi l'hai avuta ad agosto quando il terribile uragano che ha colpito la Toscana, ti ha devastato il Twiga, il tuo notissimo stabilimento balneare in Versilia. Invece di ricevere solidarietà, la maggior parte delle persone ha gioito.
«È proprio così. Per un giorno abbiamo fatto felici tante persone. Questo è il modo con cui la gente, divorata dalla sua invidia sociale, il suo rancore, dimostra di non sopportare che a qualcuno le cose possano andare bene. Vorrebbero che andasse male per tutti. Se quell'uragano ce lo avesse distrutto completamente lo stabilimento, sarebbero stati ancora più contenti. Invece grazie ai nostri dipendenti che hanno lavorato trentasei ore no-stop, lo abbiamo rimesso in piedi e la sera dopo lo abbiamo riaperto come se nulla fosse accaduto. Sai cosa è accaduto qualche mese fa sempre al Twiga?».

Dimmi
«Sono arrivati i Cobas a manifestare. Non sai la fatica per tenere a bada i nostri ragazzi che volevano uscire per ribellarsi a quello che stava accadendo. Questo perché non è possibile che un'azienda che funziona, che fa lavorare centotrenta persone, che lascia circa sei milioni di euro sul territorio, venga contestata. Che vadano a contestare le aziende che pagano in nero o che non danno lavoro. Sembra veramente che il mondo giri al contrario».

C'è un grande dibattito sul salario minimo, tu cosa ne pensi?
«Io non capisco quando criticano il salario minimo quando hai un governo che paga dottori, carabinieri e poliziotti 1.200/1.300 euro al mese. Sai un'altra criticità per un imprenditore quale è?».

Quale?
«Il licenziamento. Vorrei avere la libertà di poter licenziare chi non lavora bene. Per un manager, quando licenzi un dipendente è un grosso smacco. Noi imprenditori vogliamo assumere le persone non licenziarle. Il licenziamento è una nostra sconfitta».

Flavio, quando abbiamo iniziato questa chiacchierata mi ha molto colpito una frase che hai detto: "Ciò che dico diventa sempre motivo di polemica perché dico la verità, perché sono una persona libera e posso dire ciò che penso".
«È vero, questo è un Paese dove tutti pensano delle cose ma nessuno le dice. Siamo circondati da persone condizionate che in privato ti dicono una cosa e un minuto dopo le vedi in televisione e dicono l'opposto».

Non c'è coerenza.
«Uno dei motivi per cui questo Paese non va avanti è perché è pieno di persone incoerenti che non sono libere». 

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