Vittorio Gassman poteva fare perfino il Papa
L'Italia celebra il più grande di tutti. Dal Cortona del Sorpasso, al soldato della Grande Guerra, dall'intellettuale della Terrazza a Brancaleone: era lui (Sordi) che riuscì di più a rappresentare il carattere degli italiani
Non era un attore perfetto. Non era un star in senso stretto. Si muoveva tra i set, le terrazza, i teatri e i campi da basket come una rumorosa e fagocitante leggenda. Era Gassman. Era, senza tema di smentita, l'anima stessa del nostro Novecento infilatosi in un ottovolante, sogni e inquietudini e volontà di potenza. Come per i film di Totò e le regie di John Ford, nella hit delle dieci interpretazioni di ogni tempo ce n'è almeno una di Vittorio Gassman, (di cui oggi ricorre il centenario della nascita): ognuno si scelga la propria. Bruno Cortona nella spider che spiega l'ansia del vivere al Trintignant del Sorpasso (pensate se quel ruolo fosse stato assegnato ad Alberto Sordi); il soldato Busacca che tenta di corrompere Sordi nella Grande guerra («L'italiano in fanteria, il romano in fureria»); Brancaleone da Norcia che arringa i suoi dal ronzino, «Imo così sanza una meta...» gettando la luce dell'ironia sul medioevo oscuro; il pugile suonato dei Mostri; Peppe er Pantera dei Soliti ignoti; il cieco in grado di osservare l'anima stessa del mondo in Profumo di donna; l'ufficiale tirato a lustro perfino nei pensieri del Deserto dei tartari; il borghesissimo intellettuale comunista della Terrazza che sbotta contro i suoi sodali, quel branco di privilegiati depressi che fanno persino più schifo dei privilegiati contenti. Sono solo alcuni degli eroi gassmaniani che hanno segnato la mia vita.
E riconcilia col mondo il fatto che la Mostra di Venezia ora commemori il gigante le cui gesta -assieme a quelle di Jimmy Stewart e di Jean Gabinda anni io cerco di trasmettere ai miei figli. E muove d'orgoglio che, oggi a voce unica, sia le reti Rai (da Unomattina a Techetechetè a Agorà, e onore a Silvia Calandrelli di Rai Cultura) infiammino i palinsesti nel ricordo del più grande attore italiano di sempre. A raccontare Gassman si rischia di scivolare nel banale. Di lui, onestamente, si sa tutto. La nascita a Genova da padre ingegnere tedesco e madre ebrea pisana; il passato da nazionale di pallacanestro; il liceo e l'Accademia d'arte drammatica a Roma -assieme a Vianello, Manfredi, Vitti, Ronconi: un accumulo d leggende-; le ; scuole di teatro; le biografie diventate frasi idiomatiche ("Un grande avvenire dietro le spalle"); la politica sempre a sinistra fino a sfociare nel craxismo al suo fulgore, la famiglia allargatissima; la doppia citazione nella toponomastica romana unico attore con la Magnani e Mastroianni. Il talento. Immenso. Di Gassman che incuteva soggezione ai grandi registi da Fellini a Antonioni che malamente si astennero dal testarne le doti -non senza, dopo, una punta di resipiscenza- s' è tambureggiato spesso. Su Gassman che avrebbe potuto fare di tutto, il Ministro della Cultura, il Presidente del Consiglio, perfino il Papa, be', s' è sprecato l'inchiostro. Perché lui, era daverro in grado di fare tutto, maniacalmente bene e senza sforzo.
La fotografia migliore di Vittorione la scatta Claudio Siniscalchi: "È un magnete potentissimo. Un Supereroe in bianco e nero capace di reggere una conversazione letteraria con Elsa Morante; giocare un incontro di tennis con Ugo Tognazzi in attesa della mitica pastasciutta; andare in scena con Luchino Visconti in teatro per un testo di Jean Cocteau; divertirsi a fare il seduttore con le sbigottite signore di un mercato romano; rilasciare un'intervista seriosa in smoking alla Mostra di Venezia". Ed è tutto. Tranchant. Dopodiché -per i fortunati che li hanno- scattano i ricordi personali. Per esempio, io conservo ancora come un feticcio l'audiocassetta con la mia intervista a Gassman al crepuscolo della sua incredibile esistenza, impegnato a Verona nell'Affabulazione di Pasolini, dove recitava per la prima volta col figlio Alessandro. Gassman era un mondo a sé, una spanna sopra tutti, in grado di toccare, appunto, tutti i registri narrativi; e di traversare generi e ruoli, ma pure di "gassmanizzare" generi e ruoli stessi. Televisivamente aveva fatto mille Canzonissime, recitato mille poesie e mille copioni (l'Adelchi, 1961) ma era conosciuto soprattutto per Il Mattatore del "Canale unico Rai" , ('59), autori Guido Rocca, Federico Zardi e Indro Montanelli. Il Mattatore -poi divenuto un film e un sostantivo- era uno spettacolo "misto", difficilmente classificabile come Gassman stesso: teatro classico, satira politica e di costume, varietà, catalogato da Aldo Grasso nella Enciclopedia della tv come antesignano dei "programmi contenitore". Verrà riproposto da Mediaset nel '99 come "Corso accelerato di piccole verità".
Il mio ricordo gassmaniano preferito, però, è il film da lui diretto nel '56, Kean, genio e sregolatezza, sulla figura di Edmund Kean, un superbo attore ottocentesco pieno di talento quanto di vizi e di debiti. Il latore di un'idea tracimante, luciferina e al contempo mistica della recitazione. Gassman, non a torto, riteneva di esserne la reincarnazione. Non ce n'è sarà mai un altro così. Le leggende hanno l'anima grande, le gambe lunghe e la voce di tuono che annuncia sempre l'ultimo spettacolo...