Nicola Porro: "Peggio del 2018 non può andare. Il premier? Incarico asessuato"
Nicola Porro, stasera si ricomincia: torna su Rete4 con "Quarta Repubblica" e la stagione non poteva essere più calda di così...
«Dice? A me sembra freddissima».
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Ma se ci sono la crisi di governo, la guerra, la pandemia, le bollette impazzite, l'apocalissi ecologica!
«Sì, ma tutto questo è finito sotto la coltre della par condicio, che è una sorta di sacco di iuta ficcato sull'informazione. Costringe infatti i giornalisti a usare il bilancino anziché lasciarci liberi di fare il nostro mestiere. Per come la vedo io, la par condicio non è altro che la sublimazione del pregiudizio burocratico per cui la libertà è sempre arbitrio».
In realtà è una legge che nasce a tutela della democrazia.
«No, no: contesto! È nata all'insegna della stronzaggine: si pensa che la tv sia più influente di quello che è e, soprattutto, che i giornalisti non sappiano autoregolarsi».
Sgarbi sarà in studio?
«Ecco, appunto: dato che si è candidato, non potrà partecipare alle prime puntate. Le sembra normale? Mettere un sacco sulla testa di Sgarbi è una bestemmia alla libertà. Come se, poi, lui avesse bisogno di quattro puntate per diventare noto».
Quindi di cosa si parlerà stasera?
«Avremo in studio Salvini e Renzi. Poi nella seconda parte affronteremo l'emergenza gas, ma il vero pezzo forte sarà la nostra inchiesta sullo scandalo Ruberti: è incredibile come questo caso che coinvolge il Pd romano sia tenuto sotto silenzio. Noi mostreremo come in ballo ci sia molto più di una disputa per il calcio».
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Ho letto che lei ha chiesto a Mediaset di continuare a non avere il pubblico in studio: l'hanno accontentata?
«Sì. Sono felice di non averlo: in fondo rappresentava un costo e la sua assenza ci permette di avere uno stile un po' più asciutto».
Ma il problema dei talk show non erano gli opinionisti e la solita compagnia di giro degli ospiti?
«Infatti non sto dicendo che il pubblico sia un problema. Semplicemente non siamo più ai tempi delle arene di Santoro dove il pubblico era schierato e soffiava sul collo agli ospiti: oggi è diverso, non si capisce più perché la gente in studio applaude, e a favore di chi».
È vero che ha rischiato di dirigere il Tg5? Secondo Dagospia se Clemente Mimun si fosse candidato, sarebbe stato lei il suo degno erede.
«Tutte stupidaggini».
Ammetterà però che le sue quotazioni a Mediaset sono in rialzo: all'orizzonte potrebbe esserci un altro programma oltre a "Quarta Repubblica"?
«Non penso».
Un anno fa il Foglio scriveva: "A Porro manca solo un partito". Ci ha mai fatto un pensierino?
«Da sempre rivendico la libertà di andare ai Caraibi 20 giorni all'anno, girare con una macchina sportiva, andare a ballare senza essere filmato come la premier finlandese Marin, avere due figli di cui tutti ignorano la faccia oltre che una moglie che è praticamente introvabile su internet. Tutto questo non sarebbe possibile se mi candidassi. E poi, francamente, sarei un incapace: la politica è una cosa seria, lasciamola a chi la sa fare».
Qualcuno però l'ha mai corteggiata?
«Corteggiano chiunque abbia un minimo di visibilità».
Cosa pensa della discesa in campo di Rita Dalla Chiesa?
«Rita rappresenta un mondo: quello delle forze dell'ordine, del garbo e dell'eleganza. Inoltre in passato ha spesso preso delle posizioni anche molto forti e personali. Se quindi venisse eletta, non sarebbe una "figurina" esposta dai politici, ma un bell'acquisto per il Parlamento, indipendentemente dal partito di appartenenza.
Era davvero necessario rinviare la fiction Rai sul padre Dalla Chiesa?
«Macché! È stata una follia col botto! Se ce ne fosse ancora bisogno, è la dimostrazione di quanto sia scellerata la par condicio».
Nel bene e nel male, Giorgia Meloni è la grande protagonista di questa campagna elettorale. Sbaglio o non c'erano personaggi così divisivi dai tempi di Berlusconi?
«Sbaglia. Chiunque sia candidato a destra e abbia qualche possibilità di vittoria diventa immediatamente divisivo. Varrebbe persino per Babbo Natale: se si candidasse a destra e avesse qualche chance, criticheremmo pure lui».
E l'allarme fascismo, dove lo mettiamo?
«Il vero problema di questo Paese è che al vincitore di turno si attribuisce sempre la fine del mondo. Certo, se vince la destra prevarrà una certa idea di società e di politica, ma non avremo certo l'Apocalissi in Terra. Inoltre se non è finito il mondo con i grillini, di certo non accadrà con la Meloni».
A un certo punto si è anche parlato di sovranismo femminista della Meloni: è così?
«Guardi, preferirei parlare di golf...»
Prego?
«Ma sì, dai: è ridicolo qualificare per il suo genere il prossimo presidente del consiglio. Ma chi se ne importa!».
Andiamo allora oltre e parliamo di bollette: il modello Basilicata è estendibile a livello nazionale?
«Sul gas bisogna dire due cose. Primo: i costi sono cresciuti anche per effetto di alcune storture normative e su questo si può intervenire, cambiando qualche regola. Tuttavia il prezzo del gas è quello di mercato e chiunque sostenga che lo si possa abbassare con la bacchetta magica, senza cambiare le condizioni di mercato, è un demagogo».
Quindi come se ne esce?
«Ritoccare le regole sarebbe già un bel passo. Dopodiché bisogna capire come gestire uno schieramento atlantista, al quale l'Italia è ancorata, e un sistema di sanzioni sul gas che fanno peggio a noi che non a Gazprom, il monopolista russo di gas. Il rischio è di ritrovarci con un'Europa distrutta dalla recessione economica».
In tutto questo la pandemia sembra passata in cavalleria. Ce la ritroveremo a settembre?
«C'è una parte del governo, soprattutto quello filo-Speranza, che pensa di poter cambiare il modello culturale e sociale del Paese grazie al Covid. Con il lockdown e il green pass sono infatti riusciti a introdurre un germe in più di statalismo. Mi auguro che ora, con le crisi serie che ci attendono in autunno, la pandemia venga inquadrata nel giusto alveo ossia come un problema da affrontare con strumenti sanitari e non di controllo sociale.
Deduco che lei sia ancora contrario a Green pass e lockdown.
«Eccome! Il lockdown è il lazzaretto del Medioevo. E lo dico proprio perché confido nella scienza: è questa che ci può aiutare».
Mi tolga una curiosità: come va il suo sito di informazione NicolaPorro.it?
«Benone! È in costante crescita di visualizzazioni, che ormai valgono più dei giornali. Non è un caso se il mio sito non ha un'edizione cartacea: i quotidiani non scompariranno ma diventeranno un prodotto specializzato e di nicchia».
Capisco: mi tocca cambiare lavoro.
«Mi sa di sì! (ride, ndr)».