Mario Draghi cancellato dal Fmi: "Dopo 18 mesi di governo..."
Delle due l'una: o il Parlamento ha impedito a Mario Draghi di fare quello che doveva o l'ex capo della Bce è andato meno veloce di quello che ci ha fatto credere. La sostanza è che dopo un anno e mezzo di governo dei migliori, costellato di annunci e sbandieramenti sugli obiettivi raggiunti e i traguardi del Pnrr, la musica per l'Italia sembra non essere cambiata di una nota. Questo almeno è quello che emerge leggendo il rapporto diffuso ieri dal Fondo monetario internazionale, ma chiuso prima della crisi di governo, dove si ha la sensazione che dopo tanta strada fatta siamo ancora al punto di partenza. Non ci credete? Sentite qua. Sulle prospettive italiane, avvertono gli esperti di Washington, pesano molti rischi che, se si materializzassero, «complicherebbero il compito di riduzione del debito».
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RICETTA
Per evitare brutte sorprese, ecco la ricetta. Servono «ampie riforme strutturali», utili anche per colmare le «differenze di produttività fra le varie regioni e i vari settori» economici. Entrando nel dettaglio, «una razionalizzazione della spesa, un ampliamento delle base fiscale e riforme che rafforzano la crescita- quali quella della pubblica amministrazione, della giustizia civile e della concorrenza - sono necessarie per centrare un considerevole surplus primario così da mantenere il debito in una solida traiettoria di calo». Ma come? Sulla concorrenza conosciamo tutti i problemi che hanno rallentato il cammino del ddl. Ma sulla giustizia civile, sulla razionalizzazione della spesa, sulla pubblica amministrazione pensavamo che qualcosa si fosse fatto. O almeno così ci era stato detto. Il deja vu con le raccomandazioni della Commissione europea è abbastanza inquietante. Pure Bruxelles, seppur riempiendoci di complimenti per il lavoro svolto e la capacità di rialzarsi dopo la fase pandemica, cosa che peraltro fa anche l'Fmi, le doglianze contenute nell'elenco dei compiti a casa stilato periodicamente dagli euroburocrati comprendeva le solite riforme su cui l'Italia è accusata da anni di non riuscire a fare passi avanti.
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Capire cosa sia successo non è facile. Anche perché abbiamo passato le ultime settimane a sentire espertoni di economia e di scienze politiche che sgambettare Draghi a pochi mesi dal suo percorso sarebbe stato fatale per un cammino riformista che era quasi concluso. Lo stesso premier, poi, ci aveva raccontato alla fine dello scorso anno che il suo lavoro era praticamente finito, e anche un timoniere poco avveduto sarebbe stato in grado di condurre il porto la barca. Poi arrivano gli organismi internazionali e ci sgridano come se fossimo stati a girare i nostri pollici anche nell'ultimo anno e mezzo. Qualcosa non torna. E tra le ipotesi c'è, ovviamente, anche quella che i supertecnici non sanno fare altro che bacchettarci. Anche preventivamente. Ecco gli ordini per il prossimo governo: sul Superbonus troppe «criticità», servono più controlli, sulle pensioni solo riforme a costo zero, mentre il reddito di cittadinanza deve essere trasformato in un efficiente strumento di stimolo all'occupazione. Insomma, prepariamoci ad un'altra strigliata.
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