Vittorio Feltri stronca Luigi Di Maio: "Ecco chi è davvero. A furia di andare col Pd..."
Rispettiamo il lutto di Luigi Di Maio, dovuto alla perdita incolmabile del suo ministero, uno di quelli avuti in dotazione nel corso della legislatura appena defunta, dove il leader di Insieme per il futuro (mio personale), questo il nome del neonato partito fondato da Gigi il 21 giugno scorso, ha ricoperto in appena quattro anni le cariche di: vicepremier, ministro dello Sviluppo economico, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, pur non avendo mai lavorato e pur credendo che Matera sia in Puglia. Si direbbe che Di Maio sia così stimato (o sovrastimato) che a qualcuno ai piani alti è sembrato opportuno sfruttare questo promettente giovane il più possibile, spremendolo come un limone, mediante il cumulo degli incarichi.
O forse Luigi ha semplicemente la stoffa, quella del politico spregiudicato il quale in qualche maniera riesce a restare sempre e comunque a galla. I governi affondano, Luigi Di Maio da Pomigliano D'Arco rimane sempre in piedi. Questa abilità non sarebbe onesto non attribuirgliela, non riconoscergliela. Di Maio è uno che vuole che tutti i governi cadano, tranne quelli dove egli stesso ha una poltrona o due. Nel 2018, ad elezioni appena conclusesi, prima della nascita dell'esecutivo gialloverde, Gigi chiedeva l'attivazione dell'articolo 90 della Costituzione italiana, ovvero che il nostro presidente della Repubblica Sergio Mattarella fosse incriminato per alto tradimento e attentato alla Costituzione, e che fossero indette nuove elezioni.
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IRRICONOSCIBILE
Nominato ministro, Luigino si è dato una calmata. Anzi, ha subito una metamorfosi. Tanto che adesso non è più riconoscibile. Quando parla di Mattarella, i suoi occhi luccicano. Ha sposato il Pd, che un tempo detestava. Siede alla destra del premier di turno, che osserva con sguardo devoto, mentre un dolce sorriso solca il suo bel viso da diligente scolaro della prima fila. Adesso tutto questo è terminato. E Di Maio, a cui hanno rotto le uova nel paniere, è tanto tanto arrabbiato, sebbene nasconda tale incazzatura sotto la sua consueta maschera di flemma e magnanimità. Davanti ai giornalisti, i quali lo invitano ad indossare la mascherina a causa della calca che si è creata intorno alla sua persona e ai quali risponde «basta che l'abbiate voi» (del resto, lui le regole ormai è abituato a farle, mica è tenuto ad applicarle), punta il dito contro Giuseppe Conte e Matteo Salvini. Sono loro gli unici e veri responsabili della fine del suo dicastero, cioè, scusate, del governo Draghi.
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E poi, ecco che riemerge la sua originaria natura complottista: egli insinua, come se affermasse qualcosa di logico, evidente, ovvio, scontato, inoppugnabile, che non è mica un caso che a fare crollare l'esecutivo di Draghi, nemico di Putin, siano stati due individui legati a Putin. Insomma, secondo Gigi, riguardo la fine dell'esecutivo Draghi, c'è tutto un complotto internazionale alle spalle, i servizi segreti, le spie, interessi colossali, accordi tra Mosca e il leader della Lega, tra Conte e Vladimir Putin, il quale tuttavia ignora che esista un tizio chiamato Giuseppe Conte sul pianeta Terra. E già possiamo scommettere che il leader di Insieme per il futuro (mio personale) condurrà la sua campagna elettorale cavalcando questo tema qui, dividendo il mondo in buoni e cattivi e proponendosi come il difensore del Bene. Su un elemento Gigi è stato chiaro e preciso: mai con i populisti. Certo, non si tratta di una garanzia, ove consideriamo che tali parole giungono da uno che proclamava "mai con il Pd" e poi ci si è messo; "mai con la Lega" e poi ci si è messo; "mai con Draghi" e poi ci si è messo; "mai con Berlusconi" e poi ci si è messo; "mai con Renzi" e poi ci si è messo.
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UN PO' CONFUSO
Del resto, Luigi Di Maio non andava fiero fino a qualche mese fa di essere populista? "Populista" significava, a suo avviso, stare con il popolo, con la gente comune. E lo specificava con il cuoricino traboccante di orgoglio. «Siamo populisti e riconosciamo nella volontà popolare la vera democrazia», dichiarava al Corriere della Sera qualche anno addietro. Gianni Letta aveva da poco definito «rabbioso» il populismo e Gigi faceva propria questa espressione: «Populista rabbioso? Mi piace». Adesso però Luigi si è appunto trasformato. Frequentando le stanze dei bottoni, egli non è più lo stesso. Adesso il fatto che si vada a elezioni anticipate, rimettendo tutto nelle mani del popolo sovrano, non è più una bella cosa, non è più «vera democrazia», bensì una scocciatura in quanto si stava tanto bene lì, al dicastero. E il populismo? E i populisti? Non ne parliamo. Brutti, sporchi e cattivi. Insomma, a furia di andare con quelli del Pd, Di Maio è divenuto più dem di Zingaretti elevato all'ennesima potenza.