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Crazy Pizza, voci infamanti su Flavio Briatore: "Perché ha attaccato i pizzaioli napoletani"

Tiziana Lapelosa
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... ma tu vulive 'a pizza 'a pizza, 'a pizza... cu 'a pummarola 'ncoppa... cu 'a pummarola 'ncoppa... 

E così è stato ieri a Napoli, dove il "re" Gino Sorbillo dalla storica sede ai Tribunali ha regalato ai passanti il piatto cantato perfino da un milanesissimo Giorgio Gaber (e con lui Renato Carosone, Ariello Fierro e Domenico Modugno) con i versi del capolavoro di Alberto Testa (siamo nel 1966) musicato da Giordano Bruno Martelli per celebrare lei, la regina pizza. Più preziosa perfino del brillante di quindici carati che, nel motivo canticchiato in tutto il mondo, un lui innamorato vuole offrire alla sua lei. Che però preferisce la pizza. Piatto popolare, eccome se lo è, un marchio della cucina italiana nel mondo, anzi della napoletanità nel mondo. Lo stesso mondo che l'ha declinata a modo suo, spesso a tal punto da far venire i brividi ai puristi. Basta pronunciare la parola "ananas" per intendersi, ma anche per capacitarsi che ognuno la mangia come meglio crede. Tornando a Napoli, Sorbillo ha di certo fatto il pienone di assaggiatori di quel che meglio gli riesce per rispondere, nel linguaggio partenopeo, a quel Flavio Briatore che nei giorni scorsi si è chiesto «cosa ci mette dentro chi la fa pagare 4-5 euro?». 

 

Lui, l'imprenditore cuneese che nella sua catena "Crazy Pizza" vende a 65 euro la pizza col Pata Negra, il prosciutto (top) spagnolo che per comprarne un chilo servono 300 euro, a 49 euro quella con bufala e tartufo, tra i 14 e i 29 euro il resto delle pizze: al pomodoro 14, margherita a 15, al salmone 29... È che le materie prime costano eccome, fa sapere l'ex team manager della Formula 1. Per un chilo di pomodori di quelli che i suoi pizzaioli adagiano sul tondo della pietanza servono 4 euro, per l'italianissmo prosciutto San Daniele tra i 30 e i 35 euro. E la mozzarella di bufala, sedi ottima qualità, di certo non la regalano perché si è famosi. Dice ancora Briatore che la sua (pazza) pizza non lievita - o meglio ha una percentuale irrisoria, lo 0,05 e non fermenta - e quindi non resta sullo stomaco una volta ingerita... E poi ci sono le spese: i dipendenti vanno pagati, l'acqua, la luce e il gas pure, e le tasse... Quelle sì, piene di lievito. Ma quali costi? Sembra aver voluto rispondere ieri Gino Sorbillo, erede dell'omonima famiglia di pizzaioli, nella protesta suggeritagli dal consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli, il quale, da presidente della Commissione Agricoltura e in collaborazione col collega delle Attività produttive, vorrebbe audire i maestri pizzaioli che hanno reso la pizza patrimonio Unesco e a marchio Stg (Specialità Tradizionale Garantita). «Sulla pizza napoletana non accettiamo lezioni da chi non ha nessun titolo per farne», il sentire del consigliere. 

 

Come lui, Sorbillo è convinto che quella di Briatore sia stata una provocazione per farsi pubblicità. E ieri, mentre distribuiva la golosa specialità, diceva che la pizza è un «prodotto popolare», che le materie prime non sono poi così costose: per un chilo di farina si oscilla tra i 0,50 e 1,30 euro, il pomodoro San Marzano in fondo non incide più di tanto, il fiordi latte di eccellenza non può far di certo lievitare il costo a 20-30 euro, e l'olio extravergine nemmeno. Uno schiaffo lo tira pure a quei locali sontuosi nell'arredamento, leggesi Briatore. Insomma, «la pizza», dice il re, «è e deve restare un alimento popolare per tutti». E non va offeso come ha fatto l'imprenditore del Nord. E allora, viene da chiedersi, perché negli affollati Sorbillo disseminati tra Roma, Milano, Genova, Torino, New York, Miami e perfino Tokyo la sua pizza non viene venduta a 4-5 o al massimo 7 euro? Ad un prezzo popolare? Certo, non si arriva ai 65 euro per fondere cultura napoletana e iberica, ma sotto i dieci euro si mangia solo sognando. Per una Lazio, una Liguria, una Sardegna e via così (questi i nomi delle pizze nel menu) si sborsa da un minimo di 11 ad un massimo di 13.50 euro. Soldi spesi bene, per carità, ma di popolare c'è ben poco e nessuno a fare polemica. E chissà se per mettere fine alla diatriba, Briatore accetterà l'invito di Antonio Pace, presidente Avpn (Associazione Verace pizza Napoletana) alle Olimpiadi della pizza (quattro giorni, 300 partecipanti da 30 Paesi del mondo) «dedicate a questo prodotto simbolo del Made in Italy, iconico e amatissimo in tutto il mondo». 

... ma tu vulive 'a pizza 'a pizza, 'a pizza... cu 'a pummarola 'ncoppa... cu 'a pummarola 'ncoppa...

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