Marco Travaglio infama la Casellati? Condannato e spennato: il prezzo del conto da pagare
La notizia è che nello scontro, anzi nella “carica” del Fatto Quotidiano contro Maria Elisabetta Alberti Casellati, il Fatto Quotidiano alla fine si è schiantato. Ha perso. Anche se è sempre difficile da quelle parti ammetterlo. Ma quando c'è di mezzo una condanna il "fatto" tutt' al più può essere camuffato. Non di certo taciuto. La notizia, dunque, è la seguente: «Ho vinto la causa di diffamazione contro i giornalisti del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, Ilaria Proietti e Carlo Tecce». A comunicarlo, in maniera del tutto chiara, non è la testata incriminata ma la seconda carica dello Stato che ha allegato il dispositivo della pronuncia. Il risultato? Ben 25mila euro che i condannati (il direttore e due cronisti), in solido con il gruppo editoriale, dovranno versare in sede civile a titolo di risarcimento per i misfatti.
Di che cosa parliamo? Di una campagna, come racconta lo stesso direttore del Fq Marco Travaglio, che si è radicalizzata (gli scontri fra lui e la Casellati, documentati almeno fin dal 2011, sono letteratura televisiva) dall'inizio dell'elezione della senatrice di Forza Italia come presidente di Palazzo Madama. Uno smacco per il giornale-partito dei 5 Stelle: dato che rimarrà impresso nella storia il fatto che i grillini, bramosi già ai tempi di governare e normalizzarsi a ogni costo, finirono per votare proprio la berlusconiana di ferro addirittura alla presidenza del Senato. Di qui una serie reiterata di articoli e articoli che hanno preso di mira l'esponente azzurra, cinque dei quali, come è stato accertato dal Tribunale di Padova, sono stati ritenuti diffamatori. Al contrario di quanto ritiene il direttore, dal cui editoriale sembrerebbe essere dinanzi ad una condanna parziale, nel dispositivo si legge «che Marco Travaglio, Carlo Tecce e Ilaria Proietti sono stati condannati ex art. 12 l. 47/1978» al risarcimento dei danni.
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LA PUBBLICAZIONE
Non solo. È stata ordinata la pubblicazione della sentenza per estratto a cura e spese dei convenuti sul Corriere della Sera, Il Mattino, il Gazzettino e Il Fatto Quotidiano nonché al rimborso di oltre 10mila di spese processuali. Niente male per quello che sul Fatto di ieri viene più che minimizzato, evidenziando - al contrario - solo quella parte della pronuncia favorevole alla campagna. La realtà è del tutto diversa. Perché se da un lato - come riportato nell'editoriale - il giudice ha riconosciuto in diverse delle circostanze denunciate l'esercizio legittimo del diritto di critica, dall'altra parte ha sancito che la Casellati è stata inequivocabilmente diffamata. Ecco due titoli in questione: «Le "marchette" di mamma Casellati alla figlia Ludovica», «La Casellati bestemmia in Aula e tutti la coprono». Nonostante le evidenze, nella "rielaborazione" il Fatto finge di aver vinto: si tratterebbe, come ha scritto il giornalista anti-Cav, di un «contentino» (sic) che il Tribunale avrebbe concesso al presidente del Senato. Alla faccia del motto caro ai giustizialisti: «Le sentenze non si giudicano, si rispettano». Ma tant' è. Per Travaglio & co l'illecito - parafrasando la celebre canzone estiva di qualche tempo fa - si limiterebbe a tre parole: «Bestemmia, marchette e minacce».
A DENTI STRETTI
Ma al di là del tentativo di annacquare l'intento diffamatorio tirando in ballo il dizionario Treccani e la manica larga della semantica, la sentenza parla chiaro: altro che piccole licenze poetiche. Alla fine, infatti, anche dal Fatto Quotidiano sono stati costretti a riconoscere - seppur a denti strettissimi e annunciando di appellare la sentenza - il succo della questione: «(Il Tribunale, ndr) Ci condanna ad arrotondare lo stipendio e il vitalizio della statista padovana». Sarcasmo a parte: la Casellati ha vinto.