Generale Bertolini, "punto di non ritorno". Nato, 3 mesi di bugie sull'Ucraina? "Quello che saranno costretti a dire"
Mosca è sempre più vicina a impadronirsi dell'intero territorio del Donbass, un traguardo che segnerebbe il raggiungimento dell'obiettivo dichiarato dell'intervento in Ucraina e potrebbe condurre a una riapertura del tavolo delle trattative. La prospettiva di una imminente vittoria russa sul campo ha costretto l'Occidente a cambiare narrazione dopo aver insistito per settimane su un presunto sfacelo delle forze del Cremlino e aver addirittura spinto Kiev a credere nella possibilità di una vittoria militare. Un bagno di realtà dopo il quale dovrà maturare la consapevolezza che la Russia non potrà mai essere spinta a rinunciare a determinati territori non per chissà quali complesse ragioni strategiche ma per semplicissime ragioni geografiche.
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E' l'analisi di Marco Bertolini, ex comandante del Comando operativo interforze e della Folgore, autore di Guerra e pace ai tempi di Putin, un denso volume edito per i tipi di Cantagalli, scritto a quattro mani con Giuseppe Ghini, ordinario di Slavistica all'Università di Urbino. Negli ultimi giorni i russi hanno segnato significativi progressi nell'avanzata in Donbass, in particolare con la conquista del fondamentale crocevia di Lyman. "Si sta stringendo una tenaglia che dovrebbe portare all'accerchiamento delle forze ucraine che si stanno confrontando sul fronte Est. Una conquista del Donbass potrebbe rappresentare il raggiungimento di un punto di non ritorno, la vittoria sul campo definitiva dei russi - spiega il generale italiano all'agenzia Agi -. Ormai, oltre che dalle ammissioni di Zelensky stesso, è quello che traspare anche dalle ammissioni in campo occidentale, soprattutto statunitense. Il New York Times, ad esempio, ha riconosciuto che la situazione degli ucraini è molto pesante. Penso che, auspicabilmente, si sia giunti al punto nel quale i russi potrebbero aprire un tavole per i negoziati. I cambiamenti sul terreno potrebbero essere prodromici a un cambiamento di approccio con i due interlocutori, Zelensky e Putin, che decidono di cominciare a discutere".
Queste ammissioni segnano un deciso mutamento nella narrazione. Fino a qualche giorno fa da Washington e Londra ci veniva detto che l'avanzata russa era in stallo, che le forze di Mosca stavano subendo perdite pesantissime e che addirittura l'Ucraina fosse nelle condizioni di vincere. "Sta cambiando la narrativa in ambito occidentale, dopo che, soprattutto da parte americana e inglese, c'era stata la tendenza a dire che i russi non ce la facessero più e non fossero capaci. Non sappiamo quante perdite abbiano subito gli ucraini. Una ricerca dell'Onu parla di 5mila civili uccisi ma non si parla mai dei militari ucraini morti. L'altro giorno Zelensky aveva parlato di 50-100 caduti al giorno, ai quali vanno aggiunti i feriti e i disertori, un fenomeno quest'ultimo che sta assumendo una dimensione preoccupante nel Donbass. Johnson aveva parlato di vittoria, termine che non prevede la trattativa ma la resa dell'avversario, aveva portato l'esempio di Churchill e aveva spinto Zelensky a uno scontro senza condizioni, dicendogli che era il momento della gloria. La narrativa dei Paesi che avevano spinto di più per uno scontro senza se e senza ma sta cambiando. Non sono più consentiti voli pindarici, l'Ucraina non ha né la forza né la possibilità di riconquistare i territori perduti senza un intervento diretto della Nato che porterebbe a qualcosa di catastrofico, a una Terza guerra mondiale. Continuare a mandare armi non aiuterebbe una controffensiva finale che ripristini lo status quo ma servirebbe a mantenere accesa una situazione di conflittualità costante nel tempo tra un'Ucraina occupata dai russi e un'altra sotto il controllo degli ucraini, una conflittualità cronica che sarebbe una maledizione, come è già evidente dai problemi per le esportazioni di grano".
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