Nicolai Lilin, "il punto debole del reshala Vladimir Putin": chi può far implodere lo zar, quello che pochi sanno
Vladimir Putin è "un enigma che qui fatichiamo a penetrare. Come una chiave che non s'incastra nella serratura". Nicolai Lilin, scrittore russo trapiantato in Italia, autore del best seller Educazione siberiana e del libro Putin - L'ultimo zar (Piemme, 218 pagine, 13 euro), documentata biografia dell'uomo che ha scatenato la guerra in Ucraina, in una intervista a Oggi spiega che il presidente russo "non arriva dalla nomenklatura sovietica, i suoi bisnonni erano servi della gleba. Conosce le periferie del Paese dove vive il 70 per cento della popolazione. È cresciuto nel vicolo Baskov di Leningrado, lì dovevi lottare. Picchiare chi ti aveva offeso perché senno picchiava te". Per questa ragione "capisce meglio le regole: la lealtà verso il tuo gruppo, la freddezza, il silenzio di cui ha bisogno il potere. È più basso, non ha il fisico, deve aggiungere uno sforzo mentale, deve deciderlo: perché o è leader o non è nessuno. Infatti già da bambino sogna di entrare nel Kgb".
Essere stato una spia ha lasciato in lui il segno: "Il Putin pubblico esordisce nel 1991 quando l'Urss collassa. Di ritorno da Dresda, vive in una casa di 27 metri quadri, non ha soldi. Anatoly Sobchak, sindaco di San Pietroburgo, lo chiama per curare i rapporti con la nuova élite democratica: ovvero oligarchi e delinquenti. Lo stesso lavoro nel Kgb. L'oligarca è chi sa il costo delle cose: materie prime e fabbriche, perché viene dalla struttura statale. La criminalità sa come venderle, magari in Occidente. Si spartiscono il Paese e diventano miliardari".
E ancora spiega Lilin: "Va capita una cosa: l'apocalisse degli anni Novanta. Il sistema che per settant'anni ha dato sicurezza è liquefatto. La classe media è annichilita. Non esiste legalità. Putin è un reshala, si direbbe nel gergo criminale: uno che risolve problemi e riporta almeno l'illusione dell'ordine. Nel 1999 la sua minaccia ai terroristi ceceni fa furore: 'Li ammazzeremo anche nel cesso'". Putin, osserva lo scrittore, è uno che "risponde di quello che fa" tanto che nel 2000 quando affonda il sottomarino nucleare Kursk e muoiono 107 marinai, "lui decide di entrare nella gabbia dei leoni: incontra i familiari, inferociti col governo che non ha fatto abbastanza. Loro sono pronti a strapparne la carne a pezzi. E invece: li fissa negli occhi, uno a uno. Lo sguardo non vaga nell'aria, non si rifugia sul pavimento. Merita l'Oscar, esce tra gli applausi". Il suo punto debole sono "i giovani che non hanno vissuto lo sfascio sovietico: non lo capiscono e lui non li capisce. Detesta internet, legge su carta, appartiene al passato".