Edy Ongaro, l'italiano ucciso in Donbass: "Leghisti subumani da pestare. Europa, cagnetta col collare"
Il suo kalashnikov si chiamava Anita, «come la moglie di Garibaldi», in Donbass era arrivato nel 2015 oltrepassando il confine sloveno, dopo un periodo di latitanza in Spagna; in Italia lo aspettavano ancora il padre Sergio, lo zio Rino, il fratello Mirko, oltre all'amico Massimo Pin e i compagni del Collettivo Stella Rossa nordest, che ora lo piangono da eroe. Ma Edy Ongaro, 46 anni, non tornerà da vivo. Forse alla famiglia sarà restituita la salma, «lo vogliamo seppellire vicino a sua madre, nel cimitero di Fossalta di Portogruaro», ha detto il padre sconsolato, incapace di darsi una risposta sulla fine tragica di quel figlio che non vedeva da troppo tempo. «Non so cosa pensare, mi domando il perché e il per come fosse là e non so darmi una risposta.
Spero solo che lo riportino qui», prega. «Mio figlio era un idealista ma quando si spara, quando si fa la guerra, non sono mai ideali buoni».
Lo zio Rino prova a spiegare ai cronisti che suo nipote non era contro Kiev: «È cresciuto qui nella casa accanto. Era un ragazzo molto intelligente, leggeva tanto, libri e giornali. Lui filo-russo? Non mi risulta. Non parlavamo di politica, ma non era contro l'Ucraina. Mia madre, sua nonna, aveva una badante ucraina che spesso preparava da mangiare anche per lui. Edy non ha mai fatto commenti a riguardo. Per me era andato là per la pace».
«MOSTRO FASCISTA»
Eppure, basta farsi un giro in Rete per sentire cosa diceva di sé il 46enne vittima di una bomba a mano nel villaggio di Adveedka, nel nord di Donetsk: «Sì, sono un combattente comunista. Sono un internazionalista. La mia scelta è di rimanere qui, combattere per la libertà di questo popolo. Dobbiamo sconfiggere il mostro fascista. Starò qui fino alla fine dei miei giorni, finché il sangue mi scorrerà nel corpo. Dobbiamo fare tutto quello che è nelle nostre possibilità per rendere questo pianeta un posto più vivibile; sta a noi combattere senza tregua il mostro, stanarlo da ogni tombino». Ongaro non aveva il fisico nerboruto dei foreign fighter più allenati, era smilzo e attaccato alla sigaretta, la mimetica perennemente addosso, il berretto storto e il pizzetto sale e pepe che lo invecchiava di qualche anno. Si era scelto "Bozambo" come nome di battaglia «in onore di un partigiano della Seconda Guerra Mondiale», nelle interviste sui canali della Resistenza citava Gaber perché «la libertà è democrazia, la liberta è partecipazione», ecco perché dopo essere stato arrestato per avere preso a calci una cameriera colpevole di non avergli versato altro vino (era ubriaco) era scappato dall'Italia. I familiari pensa vano che avesse raggiunto la Russia per turismo, invece lui si era unito agli indipendentisti con il mitra.
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Del resto, da che parte stava Bozambo è evidente. Lo spiega bene Stefano Orsi, esperto di geopolitica, analista presso letteradamosca.eu, ilsudest.it e The Saker, in contatto con il miliziano fin dall'inizio della vicenda del Donbass. «Edy ed io ci scrivevamo», racconta Orsi a Libero, «credeva in quello che faceva, infatti è rimasto al fianco di un popolo di cui aveva sposato la causa, sino all'ultimo. Era anche una persona fragile, che credeva in un mondo di eguali e solidali e la sua scelta di arruolarsi nella brigata Prizrak, a 39 anni, non è stata casuale. Nel gennaio 2015 c'è stata la battaglia di Debaltsevo», per il controllo dello snodo ferroviario tra Donetsk e Lugansk, i due capoluoghi delle province ribelli. Lo ricorda anche Toni Capuozzo, grande inviato di guerra: «Edy Ongaro era un comunista vecchio stampo, che non negava le foibe, e piuttosto ne faceva una gloria della giustizia proletaria».
EUROPA INUTILE
Nella sua vita precedente, prima di rimanere disoccupato, Ongaro era ultrà del Venezia, faceva il muratore e l'idea di costruire qualcosa torna sempre nelle sue parole e nei video trasmessi sui social. Ma aveva un nemico: l'Occidente, gli Stati Uniti, il fascismo e il leghismo che considerava un po' la stessa cosa. Disprezzava l'Europa definita «un cagnetto con il collare con le dodici stelle blu, la giri e c'è scritto "Made in Usa"». Per lui il Donbass «è come in Yugoslavia, è mettere i popoli fratelli sulla stessa terra gli uni contro gli altri», mentre «la Nazione è una, quella umana, poi volendo c'è l'altra, quella subumana, i razzisti, i fascisti, la Lega Nord, il Ku Klux Klan, il White Power, gente come Borghezio, gente che non dovrebbe avere la scorta ma essere picchiata dalla polizia». Ora per centri sociali e comunisti è «un martire», «un eroe», un esempio di coraggio e di coerenza. «Addio partigiano», scrivono su Facebook, «sei caduto contro le forze naziste ucraine. Ma chi ha compagni non muore mai!». Ci sarà una messa in suo onore.
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