Vladimir Putin, "il quinto maiale". Vedete questa foto? Uno sfregio allo Zar

di Maurizio Zottarellidomenica 27 marzo 2022
Vladimir Putin, "il quinto maiale". Vedete questa foto? Uno sfregio allo Zar
3' di lettura

«Faccia di maiale». È un insulto vecchio come il mondo, almeno quello occidentale. Un insulto tanto vecchio da essere entrato nelle filastrocche dei bambini e che ora sentiamo echeggiare anche in questa guerra assurda e raggelante proprio perché dai connotati antichi. Tutto nasce dall'iniziativa del gruppo di hacker Anonymous che su Twitter ha rispolverato un vecchio origami: si tratta di un foglio con stampati i disegni di quattro maiali i quali, piegati a dovere, si trasformano nel volto di Putin. In mezzo ai quattro suini campeggia l'enigma: «Dov' è il quinto maiale?». Il tutto corredato anche da un video tutorial, giusto per essere sicuri che nessuno si perda la soluzione del problema. «Deplorigami» lo chiamano gli hacker che lanciano la loro sfida al grande nemico: «Quanti milioni di questi possiamo stampare e distribuire in tutta la Russia?».

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Un gioco, insomma, uno sberleffo da bambini che magari farà anche ridere. E che non è una novità nella storia. Lo stesso giochino fu utilizzato durante la seconda guerra mondiale quando il ministero dell'Informazione britannico fece piovere sui cieli dell'Europa occupata opuscoli intitolati: «Dov' è il quinto maiale?». In quel caso, naturalmente, le fattezze suine riproducevano quelle di Hitler. La trovata venne poi replicata anche durante la Guerra del Golfo: allora però i maiali erano quattro dinosauri e il quinto fossile rappresentava da Saddam Hussein. Più di recente ancora, il gioco è servito negli Usa per alimentare la campagna contro Trump e, qualche anno fa, proprio il blog di "Anonymous Italia" aveva provveduto a "suinizzare" Matteo Salvini applicando naso e orecchie acconce alle foto del leader leghista accusato di propalare menzogne a sostegno della sua propaganda. E quindi: «Faccia di maiale (non mi hai fatto male)».

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LA PROPAGANDA
Ecco, la propaganda. Qui non si tratta di difendere l'onore di Putin, che è quello che è, così come lo era Saddam Hussein, ma di evitare di farsi trascinare nella stessa guerra sporca del presidente russo. Da anni il mondo occidentale denuncia, con orrore, la lotta senza quartiere del Cremlino alla libera informazione, la sua demonizzazione degli avversari; da settimane andiamo ripetendo che tra le armi utilizzate dal regime putiniano c'è il soffocamento di ogni voce libera, l'asservimento di ogni mente non allineata. Da settimane rivendichiamo il valore del pensiero critico su cui si fonda la società occidentale, e di cui si alimentano la nostra libertà e le nostre democrazie. La guerra, certo, è una barbarie «di sangue e me**a» anche quando difende la libertà e la democrazia. E, del resto, per esempio, dopo il dinosauro Saddam l'Irak non ha visto sorgere dalle sue ceneri un campione del parlamentarismo anglosassone, ma Al Qaeda. Come ha detto il Papa, ogni conflitto è una sconfitta senza vittoria, ma se nella catastrofe si può scorgere una possibilità di riscatto, questa può consistere anche nella speranza di indicare al nemico un minimo di umanità in questo deserto di propaganda e bombe. In ogni guerra si inizia a pensare alla pace solo quando si placa il vento dell'odio che trasfigura il volto del nemico e lo riduce a un «faccia di maiale» sgangherato e bambinesco. Non possiamo permetterci di disperdere le ragioni della guerra, se qualcuna ce n'è. Figurarsi annegare in cori da stadio quelle di una possibile pace. 

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