Com'è difficile spiegare la guerra ai figli
E' la giornata del babbo più difficile: molti genitori affrontano la sfida di chiarie le ragioni di un conflitto che non capiscono nemmeno loro. Tra paure e assurdi consigli di esperti
Boris è un bimbo biondo come un campo di mais carezzato da aliti di primavera. Vanta un cognome impronunciabile, un fisico da corazziere e un tocco di palla alle pendici dell’area di rigore che, a tratti, lo fa assomigliare a Oleg Blochin, indimenticato centravanti della Dinamo Kiev anni 80. Gioca a calcio nella Nuova Trezzano con mio figlio Tancredi, sette anni, che l’osserva dalla sua porta, lo applaude incrociando i guanti troppo grandi e mi chiede: “Papà, Boris è russo o ucraino?”. Non so, amore, ma non è importante. Invece forse un po’ lo è.
Perché mio figlio è uno dei tanti bambini che sente la guerra, inspiegabilmente rimbombargli dentro; ha il terrore che ci piovino le bombe addosso, e non ha ancora le idee chiare su chi siano davvero i buoni. Oggi ricorre la Festa del Papà più difficile della mia generazione: siamo qui a dover spiegare ai nostri piccoli l’enormità del conflitto ucraino come fosse un cartone di Peppa Pig. E questo dopo esserci, rotti la testa, ancora prima, a spiegar loro il Covid, mentre a scuola li obbligavano a sorridere dietro la mascherina, inchiodati sui banchi anche durante la ricreazione come tanti piccoli San Sebastiani trafitti dai colori a pastello, distanziati in sala mensa ad aspettare il turno neanche fossero alla Cayenna. Se, dopo tutto quello che hanno passato, non avranno un’adolescenza traumatizzante sarà un miracolo.
Ora Tancredi mi afferra la gamba all’improvviso, come fa col pallone sulla linea di porta e mi dice: “Papà io ho paura…”. E allora eccomi a compulsare libri e smanettare nel web per cercare una metodologia di comunicazione che non me lo faccia diventare né un hippy, né un piccolo oligarca. E inciampo sulle raccomandazioni di Save The Children: “trova il tempo di ascoltare tuo figlio quando vuole parlare”; “adatta la conversazione al bambino” (ma poi dice di “non entrare nei dettagli” e di “non fare paralleli con la vita comune, qualunque cosa significhi); rassicurali che noi adulti di tutto il mondo stiamo “lavorando duramente per risolvere questo problema”, ma è una balla clamorosa e il ragazzino è tutt’altro che stupido. Infine Save The Children si raccomanda: “Offri un modo pratico per aiutarli”, indicando, tra gli altri modi, una raccolta fondi (e qui m’insospettisco un po’). Comunque, non funziona. Non funziona neanche il consiglio dello psicoterapeuta di turno: “non esponete il minore a immagini di distruzione e morte” (ma per farlo dovrei togliergli Internet e tv), e “spingete la scuola a diffondere il messaggio della Costituzione che vieta la guerra”, come se il mio piccolo fosse Sabino Cassese. Sono ancora più confuso.
L’altro figlio, Gregorio Indro, anni dieci, mi preoccupa meno. Ha imparato a leggere sulla biografia di Jimi Hendrix e, ossessionato dal rock, commenta i bombardamenti suonando alla chitarra elettrica Zombies dei Cranberries, Civil War dei Guns ‘N Roses e Gimme Shelter dei Rolling Stones allestendo un repertorio antibellico più potente di ogni discorso di Di Maio; si lascia invadere dalla musica, e l’angoscia gli passa subito. Il grande non mi preoccupa. Ma il piccolo è visibilmente agitato. Non capisce proprio perché Putin abbia invaso un’altra nazione, né perché i papà degli amichetti ucraini siano costretti a partire per la guerra invece di accompagnarli ai tornei domenicali. Non comprende i raid sugli ospedali e sulle scuole, né perché alla tv –quella poca che guarda di straforo, zampetatndo tra i talk- ci siano dei signori che danno ragione a chi, invece, quei raid continua a farli indicandoli come un’ “operazione speciale”. Il problema è che non lo comprendo nemmeno io, ma per mestiere dovrei cercare di spiegare bene quello che non so. E’ il piccolo che, invece, insiste su un sorprendente concetto di fraternità e uguaglianza uscito dall’ora di religione a scuola. Mi salva dall’imbarazzo il grande che s’avvicina e mi dice “Papi, ora, mentre stiamo così parliamo di Dio”. Bene, Greg, questa tua profondità mi commuove. “No, Papi, intendevo Ronnie James Dio, la voce dei Black Sabbath”. E attacca con Rainbow In The Dark. Mi hanno fatto intendere che Boris entrerà nella loro band…