Cremona, Bologna, Casarsa: Pasolini poeta delle piccole patrie
Ne centenario della nascita del poeta il racconto dei luoghi dove PPP ha vissuto. E dove ha maturato la profezia del nostro presente
C’è qualcosa di politico e al contempo, c’è un poetico incanto nella geografia padana che Alessandro Gnocchi disegna sulla carne e sui ricordi Pier Paolo Pasolini..
Quando ti fai un giro per le cascine, i torrazzi delle capitali minori, gli scali, le stazioni, i cantieri le darsene e le osterie che vendono orgogliose “salame contadino” puntando lo sguardo agli argini del “grande fiume”; e quando, in tutto questo peregrinare, ti metti a braccetto del fantasma del poeta; bé, è lì che ti accorgi dell’importanza di PPP- Le piccole patrie di Pasolini (La Nave di Teseo, pp 162, euro 17). Ovvero non un libro su Pasolini nel centenario della sua nascita, ma sotto le suole e per l’anima di Pasolini stesso. Trattasi di un pamphlet delizioso, d’un inno al federalismo culturale e di un omaggio a una personale ossessione per l’uomo che vide il nostro presente. Il tutto attraverso il viaggio sentimentale tra le cittadelle e i paesoni della provincia – le “piccole patrie”, appunto- che hanno cresciuto PPP e gl’infiniti suoi passaggi in «un mondo marginale, affacciato sui campi ma oramai a un passo della grande città in espansione». Gnocchi non si dedica –vivaddio- alla solita agiografia dell’intellettuale. Ma, immaginandosi un po’ il Neal Cassady on the road con Kerouac, un po’ il Mario Soldati dell’indimenticata serie Rai del Viaggio nella valle del Po, marcia e bighellona nelle periferie di Pasolini dimenticate dal mainstream letterario.
Sicché Gnocchi prima ti prende per mano e ti porta nella Cremona del ginnasio di Pasolini al Liceo Manin, laddove «finisce l’infanzia e inizia l’adolescenza». E ti proietta nel «sopramondo dei Giardini, tra gli alberelli, i fanali ricurvi e le piccole ricce del chiosco», tra una bambina «di nome Silvia» e i compagnucci di classe che parevano caricature di De Amicis. E a Cremona, patria di torrone, Torrazzo e donne poppute piene di poesia, Pasolini «racconta di essere stato accolto come uno straniero e di rimasto poco a poco ipnotizzato dalle architetture che non hanno niente di particolare, eppure ti si infilano sottopelle».
Un altro stacco, lento come quelli di PPP dietro la cinepresa, e si arriva a Bologna. Dove PPP si ritrova liceale e calciatore dilettante con un tifo sfegatato per la squadra locale. Scrive Gnocchi: «Tifano tutti Bologna. Se pensate sia un’infatuazione, vi sbagliate. L’idolo di Pier Paolo è Amedeo Biavati, il trascinatore del Bologna che vinse quattro scudetti. Pasolini in campo cercava di emulare il doppio basso di Biavati. Pasolini, in una partita, chiese l’autografo del suo mito calcistico». E addirittura, anni dopo, nel ’64, da regista di Comizi d’amore scritturò Giacomo Bulgarelli; e quando il suo produttore obbiettò: «Scusa Pier Paolo, ma a cosa ci serve una mezzala sinistra?», Pier Paolo rispose che «fa sempre comodo avere un genio sul set» .
Dopodiché, Gnocchi ti spinge nella mitica Casarsa, Shamballah a sua insaputa, «incantata perché il genio di Pasolini la rende tale». E lì, per esempio, nasce, nel ’54, «<CF2711>La meglio gioventù</CF>, la summa delle poesie in friulano disegna un mondo in radicale opposizione alla contemporaneità». A Casarsa PPP soffre la lontananza del padre Carlo Alberto, ufficiale dell’Esercito prigioniero di guerra in Africa. E qui «si sente in comunione con il paese: “Il mio balcone aperto nel cielo, i tetti, il corrile, è come il polso in cui sento battere l’esistenza dell’intero Paese”». Sicché Gnocchi evoca il Glisiùt, la chiesetta di Santa Croce; la casa paterna del poeta allargata per «installare una distilleria»; gli affreschi scoperti sotto l’intonaco strusciato con la cipolla; i vigneti di Prosecco; la lingua friulana usata come un martello per il dramma I Turcs tal Friul (I turchi in Friuli, 44) con chiare allusioni all’invasione tedesca.
Il finale è nelle pagine di Mantova. Dove si citano, per me, alcuni dei testi migliori di Pasolini come il famoso Contro capelli lunghi («Se tutti i comunisti si tagliassero i capelli, cadrebbe la maschera ai giovani fascisti»); e la lunga intervista- confessione a Enzo Biagi in cui Pasolini si descriveva perfettamente: «Sul piano esistenziale io sono un contestatore globale. La mia disperata sfiducia in tutte le società storiche mi porta a una forma di anarchia apocalittica». Il viaggio nelle piccole patrie si chiude su un posto pasolinano che la coda dell’occhio di Gnocchi individua nel frame del film pasolinano Teorema: l’appendice lodigiana sulla Provinciale 235, dallo sbocco da Bereguardo a Pavia, «la Route 66 di Pier Paolo», la location dei film Teorema e Edipo Re, appunto.
Gnocchi, come clerico vagante nell’anima padana misconosciuto di Pasolini se la cava egregiamente. Specie immaginando come Pasolini, oggi avrebbe commentato l’evoluzione di quei paesaggi e il fallimento dell’urbanizzazione: «Il mondo antico è stato spazzato via ma nulla ha preso il suo posto. I proletari non vogliono e non possono diventare piccoloborghesi. Al contrario, la borghesia è sospinta verso il proletariato. Il futuro è un’immensa borgata, non un quartierino di villette bifamiliari vicino alla fabbrica “dove lavora papà”,» sospira Gnocchi. Un sospiro anch’esso molto pasolinano…