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Walter Ricciardi, Alessandro Giuli: il menagramo scorbutico che ci vedeva tutti morti di Covid. Perché ci vuole richiusi

 Walter Ricciardi

Alessandro Giuli
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«Nulla sarà più come prima del Covid-19», ripete ancora Walter Ricciardi con sguardo tetro da ogni pulpito mediatico disponibile. Manca soltanto l'anatema penitenziale - «pentitevi!» - e l'ordine perentorio di convertirsi alla chiesa della rassegnazione. Non è chiaro se Ricciardi sia un politico travestito da scienziato o viceversa. Di certo il cilicio del menagramo scorbutico e millenarista è il suo abito d'ogni giorno; e il Coronavirus è lo svaporante dio a cui rivolge il suo pervicace atto di fede quotidiano. Oggi, stando alle sue fideistiche previsioni, dovremmo essere all'incirca tutti mezzi morti o comunque sommersi da 300mila contagi giornalieri. E invece niente, la variante Omicron sembra aver ripiegato voltando le spalle al docente d'Igiene all'Università Cattolica di Milano, consigliere principale del ministro della Salute, Roberto Speranza, e uno dei principali protagonisti del rito della disperazione andato in scena quotidianamente durante la prima ondata pandemica, quando ogni sera alle 18 la Protezione civile e il Cts diramavano e commentavano lividi il bollettino di morti, contagiati e ospedalizzati. Consuetudine rimasta oggi solo sulla carta e contro cui Regioni, imprese, scuole e una parte autorevole del mondo scientifico reclamano un cambiamento sostanziale.

 

 

 

Giunti ormai alla terza dose vaccinale e in presenza di "portatori sani" virali non ammalati, basta con i vecchi parametri che ci costringono nel purgatorio dei colori giallo-arancio-rosso e delle quarantene intermittenti, smettiamola di computare gli asintomatici bis o trivaccinati, scegliamo unità di misura più congrue rispetto alla necessità di coabitare con il Sars-CoV2 senza abbassare la guardia ma sbloccando l'Italia a rischio d'impoverimento cronico. Ma soprattutto, se è vero che il picco è oltrepassato e a fine marzo dileguerà anche lo stato d'emergenza, perché insistere con l'anacronistico Green pass mentre il resto del mondo se ne disfa e impara a convivere col virus piuttosto che morire di paura?

Il Ricciardi ovviamente non è d'accordo, malgrado il governo stia correggendo di settimana in settimana il cespuglioso labirinto dei protocolli Covid a dispetto del segregazionismo allarmistico propalato dal ministero di Speranza. Ma perché si oppone, il nostro insigne igienista? Ammettiamo preliminarmente che lui insigne lo è sul serio, e a livello internazionale, ed è anche autore di un libro dal titolo che suonerebbe autobiografico - Pandemonio, Laterza - se non volesse piuttosto essere un monito dei suoi. Ecco dunque le sue obiezioni: non possiamo occultare dati e parametri fin qui seguiti, semmai occorre che governo e Cts li comunichino meglio; dal punto di vista organizzativo di una struttura sanitaria non c'è differenza tra un paziente colpito da ictus e uno contagiato dal Covid; abbiamo organici scadenti e sottodimensionati di circa il 30% rispetto alle necessità basiche; per adeguarci agli standard della più efficiente Germania dovremmo assumere almeno 53mila infermieri; stiamo rinviando operazioni chirurgiche su malati oncologici a causa dell'affollamento negli ospedali saturi di Coronavirus.

 

 

Trattasi di argomenti che, pur comprensibili in astratto, valgono come altrettanti capi d'accusa verso il dicastero che Ricciardi si onora di servire. E di fronte a tale quadro rovinoso uno si sarebbe atteso in effetti l'autoeliminazione accompagnata da richiesta di dimissioni del ministro competente, quello per capirci che nell'estate del 2020 stava licenziando un libro autocelebrativo sulla trionfale uscita a sinistra dal tunnel pandemico. Nulla di tutto ciò, invece, malgrado Ricciardi abbia in parte condiviso le non poche responsabilità e cantonate prese dall'Organizzazione mondiale della Sanità (il suo nome figura nel board dell'Oms): dalle mascherine inutili al Covid-19 come influenza stagionale... Per poi virare lungo i sentieri del lockdown più rigido anche quando il quadro pandemico tendeva e escluderlo (e così è stato). Perfino Speranza, nelle segrete e tempestose stanze ministeriali, ha dovuto più volte richiamarlo alla disciplina del silenzio o per lo meno alla condivisione preventiva delle sentenze funeste da lui vergate appollaiato sul trespolo da cui invocava a getto continuo gli arresti domiciliari nazionali.

 

 

Resta in definitiva il sospetto che il gran consigliere di Speranza abbia preferito ritagliarsi il ruolo a metà tra Cassandra e Totò ne "La Patente" poiché, nel dubbio caotico inoculato massivamente dalla pandemia, ci sono maggiori probabilità di azzeccare le previsioni negative. Tuttavia non vogliamo negarci una sottolineatura caratteriale e politica sempre eloquente: già uomo di punta dei tecnocrati montiani e poi riserva della Repubblica di Carlo Calenda, Ricciardi fu autore di un famigerato tweet nel quale, come Nanni Moretti con Alberto Sordi, diceva che ce la meritavamo eccome l'austerity; che poi in soldoni significa appunto quell'insieme di tagli ai presìdi sanitari che ora ci obbligano a ricorrere alle misure più costrittive e restrittive, e che tante vittime sono costate alla Nazione. Da ultimo, rammentiamo che lo sfortunato e compianto professor Giuseppe De Donno, primario di pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova, morto suicida stritolato dalle tifoserie contrapposte intorno alla sua cura sperimentale a base di plasmaferesi, nel pieno del buio virale ricoprì di lodi Ricciardi ringraziandolo per il solo fatto che con il suo curriculum stellare continuasse a lavorare in Italia anziché negli Stati Uniti. Chissà che non sia giunto il momento di un volo transoceanico, magari per raggiungere il prediletto profeta di sventura Bill Gates e associarsi da vicino alle sue malauguranti predizioni sulla prossima pandemia.

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