Se America celebra l'anticapitalista e antiborghese Pasolini (yankee a sua insaputa)
Nel centenario della nascita se ne riscoprono la passione per New York e per l'immaginario americano. Come scriveva la Fallaci.
Pasolini, l’americano a sua insaputa. Raccontava Oriana Fallaci nell’articolo per L’Europeo>, Un marxista a New York, dell’arrivo pirotecnico, nel 1966, di Pier Paolo Pasolini nella Grande Mela tra entusiasmi infantili, sparizioni notturne nelle gole d’asfalto di Harlem e incontri travolgenti; e definiva questo suo viaggio come il ribaltamento di un grande pregiudizio antiborghese. Quello di PPP stesso.
Pasolini, almeno all’apparenza, odiava gli amerikani. Era appena uscito da rampogne epocali contro il capitalismo e gl’ideali borghesi della provincia nutrita ad torta di mele e rooselveltismo; colpiva duro sull’intervento americano in Vietnam, esaltava Cuba violata nell’attacco yankee alla baia dei Porci; inveiva contro il contagio della narrazione televisiva nata, appunto, nel brodo della cultura pop d’Oltreoceano. Quindi, sempre all’apparenza, è curioso che ora, in occasione del centenario della nascita di PPP (5 marzo 1922), proprio il prestigioso Academy Museum of Motion Pictures di Los Angeles in collaborazione con Cinecittà celebri il poeta-regista- scrittore attraverso una retrospettiva intitolata Conoscenza carnale: I film di Pier Paolo Pasolini, in corso fino al 12 marzo all’interno dell’edificio realizzato da Renzo Piano.
Tecnicamente, quest’iniziativa è la base di un accordo che prevede la programmazione stabile di rassegne, mostre, incontri. E delinea tre periodi principali dell’arte di Pasolini: la sua reinvenzione del neorealismo italiano (Accattone, Mamma Roma); i suoi scabrosi ritratti della depravazione della società europea (Teorema, Porcile); la trilogia della vita, i piaceri primari del sesso ambientata nell’antichità, e la sua antitesi, il devastante e tetro spettacolo horror della Seconda Guerra Mondiale, Salò. Pasolini ha avuto un impatto sul cinema di grande profondità. Gay dichiarato, «critico del capitalismo e dell’establishment borghese europeo», Pasolini rimase nel mirino dell’élite per tutta la sua carriera. Fu assassinato, il 2 novembre del 1975, poche settimane prima della premiere della sua condanna, la più veemente, delle classi agiate: Salò o le 120 giornate di Sodoma per l’appunto. Aveva solo 53 anni», scrivono i cataloghi introduttivi.
E fin qua si sviluppa la storiografia ufficiale. PPP era nel mirino delle èlites, ma egli stesso aveva nel mirino gli States, il loro endemico libertarismo e culto del denaro. Scriveva sulle Vie Nuove -riprese per il Corriere della sera in Lettere luterane- cose del tipo: «Sì, insisto: solo il marxismo salva la tradizione. Oh, ma capiscimi bene! Per tradizione intendo la grande tradizione: la storia degli stili. Per amare questa tradizione occorre un grande amore per la vita. La borghesia non ama la vita: la possiede. E ciò implica cinismo, volgarità, mancanza reale di rispetto per una tradizione intesa come tradizione di privilegio e come blasone. Il marxismo, nel fatto stesso di essere critico e rivoluzionario, implica amore per la vita, e, con questo, la revisione rigenerante, energica, amorosa della storia dell’uomo, del suo passato». Dunque il suo connubio “tradizione” e “marxismo” era quanto di più allergico allo spirito dell’aquila americana. Ma pare che gli americani, esaltandolo a prescindere, non se ne siano mai accorti; o, perlomeno, abbiano fatto finta di non accorgersene.
Eppure – ribadisce la Fallaci- Pasolini era davvero pazzo per la New York della grande contestazione, del Black Power, del concetto liberal di società. Il primo ad “americanizzare” Pasolini fu l’avvocato- scrittore Bart David Schwartz il cui Pasolini Requiem, anno 1992 ripubblicato recentemente per La Nave di Teseo, non solo indaga la «morte di un coraggioso». Ma reinserisce pure la ciclica riscoperta yankee delle opere del poeta nel solco delle sue liriche pubblicate da Random House in un raccolta curata dall’artista Norman MacAfee e nella retrospettiva di 22 film di Pasolini regista ospitati al MoMa di New York nel ’90; e nelle recensioni a firma di Edmund White sul New York Times della famosa biografia pasolinana targata Enzo Siciliano. Insomma, nonostante i suoi pensieri pregiudizialmente avversi, Pasolini era tendenzialmente un marxista fan inconsapevole dello Zio Sam.
]La sua stessa parabola esistenziale ed artistica riflette, a suo modo, l’estetica delle grandi speranze Usa. Il suo eclettismo molto american dream sa di paradosso, ma merita senza dubbio la celebrazione….