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Cesara Buonamici, inquietante sospetto sulla pandemia: "Lo avevo capito sin dal primo speciale"

Cesara Buonamici  

Gianluca Veneziani
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In occasione dei 30 anni del Tg5 che cadono oggi (auguri!), arriva la benedizione dell'ad di Mediaset Piersilvio Berlusconi: «Il Tg5 è riconosciuto come punto di riferimento assoluto dell'informazione italiana», avverte. «30 anni di credibilità, modernità e innovazione sono stati conquistati grazie al lavoro dei giornalisti del tg che hanno contribuito a renderlo un vero e proprio servizio per il pubblico». E di quella storia è fondatrice e testimone diretta Cesara Buonamici, la più longeva a livello professionale delle giornaliste del Tg5.

Buonamici, il 13 gennaio 1992 lei condusse la prima edizione della notte. Che ricordi ha?
«Per cominciare, una grandissima ansia. E poi l'immagine di un impegno totalizzante: in quel periodo lavoravamo continuamente. Riguardando la prima edizione, mi chiedo perché indossassi quella giacca di color cammello, un colore che non ho mai più portato. Quasi non mi riconosco (sorride, ndr). Finimmo quella prima giornata stremati, ma l'indomani i risultati ci diedero ragione».

Qual è il motivo del successo perdurante del Tg5?
«Penso che il Tg5 abbia conservato l'anima degli inizi: è un tg serio ma non serioso. Noi non volevamo fare le veci del servizio pubblico, ma stare dalla parte della gente. La protagonista deve restare la notizia: bisogna farsi capire, senza dare messaggi trasversali o parlare in burocratese».

E qual è il segreto che le permette di restare da 30 anni a condurre il Tg5?
«Il mio segreto è non avere segreti. Io sono quella che i telespettatori vedono in tv. Non ho mai pensato di costruire il mio personaggio e alla gente a casa è piaciuto questo modo di fare».

Il direttore Mimun ha detto di lei: «Cesara è la più brava conduttrice di tg in Italia. Non ha bisogno di mettersi di sbieco come la Gruber o di far finta di sapere tutto come la Busi».
«Mi ha fatto piacere leggerlo. Conosco la Gruber da anni. Lei ha il suo stile, io ne ho un altro. Non la critico perché è brava. L'importante è non costruirsi diversamente da come si è».

 

 

Non ha mai pensato di poter diventare lei direttrice del Tg5?
«Non ci penso né sono smaniosa di diventarlo. Mimun ha quel quid in più di visione che gli permette di fare da guida. Per essere direttore ci vuole il talento dell'allenatore».

Ha mai avuto offerte da altri Tg?
«Ho avuto in passato due offerte dalla Rai e una da La7. Però ho sempre scelto di rimanere qua perché quest'azienda ti rispetta e ti lascia libero. Mentre in Rai ho sempre visto la politica come un elemento caratterizzante che può portarti in alto ma può anche farti precipitare».

Tra le colleghe chi ammira di più?
«Alessandra Sardoni è bravissima. Ormai nei tiggì ci sono tante donne, abbiamo occupato molti spazi. Nel nostro settore non c'è alcuna discriminazione».

 

 

Giusto esibire il crocifisso in conduzione come fa Marina Nalesso del Tg2?
«Io sono molto religiosa, ma non penso abbia senso mostrare il crocifisso al Tg».

Tifa per una donna al Quirinale?
«Non riesco a riconoscermi in questa battaglia. Sono amica delle donne, ma vinca il migliore, non perché donna. Le battaglie per le quote rosa non fanno per me».

Nel febbraio 2020 pronunciò una frase profetica sul Covid: «È più di un raffreddore, non è la peste».
«Sì, ma è qualcosa che non conosciamo ancora perfettamente. Già dai primi speciali che ho fatto in tv avevo capito che non ce ne saremmo liberati rapidamente. Ai No Vax direi: se non ci fosse questa massa di vaccinati, staremmo a contare un numero di morti enorme. Ci riflettano su». 

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