Natalia Aspesi su Greta Beccaglia: "Una pacca sul sedere non è un crimine". Travolta dagli insulti: ecco cos'è la sinistra
«Di sicuro il passare degli anni non le giova». «Ha pestato una m...», «Ultimamente la Natalia Aspesi, giornalista straordinaria che stimo, sta perdendo colpi secondo me è scoccata l'ora di lasciare spazio ai giovani». Da giorni i social vomitano offese e insulti contro di lei, ma la giornalista di Repubblica non si scompone. «È ovvio che mi attacchino, ben vengano gli attacchi anche perché se non ti attaccano non esisti. Adesso sto scrivendo un altro articolo sulla vicenda...». La vicenda è la stessa da giorni: la pacca sul sedere della giornalista toscana Greta Beccaglia e il daspo di tre anni con cui il tifoso della Fiorentina dalla mano morta (ma lesta) è stato punito.
L'ONDA ANOMALA
La Aspesi, femminista storica, ha scritto quello che pensa: «Credo che una mano sul sedere esiga delle scuse ma non meriti l'ergastolo, anche perché penso che nel frattempo tre persone morivano sul lavoro». L'onda anomala di una marea livida si è alzata contro di lei, incontrollabile come sempre quando nei social si riversa tutto l'odio di chi non ammette un pensiero divergente rispetto a quello dominante, di chi non tollera che un'opinione segua una direzione contraria e pretende di ricompattare tutto sotto l'insegna del pensiero unico. Ma la signora del giornalismo non si ritira di un millimetro, anzi fa un passo avanti: «Pensiamo a cose serie. Se diamo tutta questa importanza a una vicenda come questa, vuol dire che siamo davvero caduti in basso. Domenica scorsa mentre tutti inorridivano per la molestia davanti allo stadio, tre persone morivano sul lavoro. Tutti si occupavano di quel sedere, nessuno di quei tre morti. Adesso la saluto perché devo andare a scrivere».
La giornalista non ci concede altro tempo, ma il suo pensiero è chiarissimo: condanna senza sconti della molestia, solidarietà alla collega, ma diamo agli eventi il peso che meritano. Impariamo a non omologare i fatti: la notizia di tre persone che perdono la vita mentre lavorano è molto più grave di una mano sul sedere che è un atto da condannare ma non è un crimine. Certamente il suo pensiero è tutt'altro che omologato sia rispetto al giornale per cui scrive sia nei confronti delle battaglie del movimento femminista. Diverse e lontane da quelle lotte per cui lei stessa in passato si è battuta in prima fila. La Aspesi ha preso le distanze dalle novel le femministe che inorridiscono se un uomo osa fare dei complimenti, che considerano molestia anche il fischio di un ammiratore e che si attaccano alle desinenze delle parole credendo che sia una "a" a riequilibrare le differenze di genere. Ha seppellito senza rimpianti perfino il metoo quando in un'intervista a Vanity Fair ha detto che il movimento americano «ha parlato soltanto di donne famose, che se non la davano al produttore di turno al massimo perdevano lo status di diva. Ha ignorato le operaie, le commesse, le segretarie, quelle donne che rischiano di perdere il lavoro e non mangiare più».
CONFRONTO
Ed ora, dopo giorni di discettazioni sociologiche e filosofiche su un uomo che tocca il sedere a una donna in diretta tv, Natalia Aspesi dice che no, quella palpata non è un crimine. E per questo finisce alla gogna. Ma nell'articolo la Aspesi sostiene un'altra cosa su cui tutte noi dovremmo davvero riflettere. Scrive: «A parte che le donne sono in grado di difendersi, malgrado la moda, del resto già alla fine, del vittimismo: decenni fa, quando sui tram affollati una mano o altro sul sedere era abituale, ci eravamo allenate con un famoso colpo di fianco che provocava mugolii al malcapitato villano e stroncava ogni suo maldestro tentativo di sopruso. Forse eravamo più forti, più cattive e perfino più allegre». E se davvero, fosse così? Se davvero fossimo diventate più deboli, più buone e anche più tristi rispetto alle nostre mamme che lottavano per l'aborto e il divorzio invece che per una "a" al posto della "o" alla fine di una parola?