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Andrea Scanzi a caccia di fascisti immaginari: da Meloni a Feltri, delira e insulta tutti

 Andrea Scanzi

Gianluca Veneziani
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Dio ce ne Scanzi! Avremmo volentieri dedicato il pomeriggio a fare altro ma per lavoro a volte ti toccano mestieri infami, come quello di dover leggere il libro, o meglio la raccolta di pagine con sopra stampate delle parole, di quel finto intellettuale e scrittore (?) dall'incomprensibile successo di nome Andrea Scanzi, firma del Fatto Quotidiano. Che ha appena dato alla luce il perdibilissimo, a meno che non vogliate buttare tempo e soldi, Sfascistoni. Manuale di resistenza a tutte le destre (Paper First). L'unica cosa a cui devi resistere, leggendolo, è la tentazione (fortissima) di chiuderlo per non andare avanti nella lettura o di utilizzarlo in modo più pertinente per pareggiare le gambe del tavolo. Ma, siccome ci tocca leggerlo, ci dedichiamo anche allo sforzo di giudicarlo. La prima cosa che fa difetto a Scanzi è la memoria storica, che pure lui reputa fondamentale per contrastare l'insorgente minaccia fascista. Il giornalista sostiene che «il problema è che a noi c'è mancata Norimberga», ossia un processo simile a quello contro i gerarchi nazisti, tale da permetterci di procedere a «una seria "epurazione" fascista». Scanzi dimentica che in Italia un'epurazione dei fascisti c'è stata eccome, e molto più cruenta e sommaria di Norimberga, e si è chiamata resa dei conti contro i Vinti. E dimentica anche che il modo in cui da noi è stato gestito il Dopoguerra, anziché favorire l'eterna durata del fascismo, ha consentito piuttosto l'assolutizzarsi dell'opposto fenomeno, l'antifascismo in assenza di fascismo.

 

 

LA COPERTINA
A parte questi svarioni, la raccolta di parole su fogli bianchi di Scanzi è un misto di confusione, innumerevoli citazioni e nessuna argomentazione. L'autore fa un pasticcio già nella copertina dove accosta, in modo suggestivo, figure che nulla hanno da spartire tra loro come il forzanovista Giuliano Castellino e uno dei leader più graditi in Italia, ossia Giorgia Meloni; uomini della destra sociale come Ignazio La Russa e politici distanti anni luce dal fascismo come Matteo Salvini e perfino il nostro direttore editoriale Vittorio Feltri presentato, per la sua adesione a Fratelli d'Italia, come «il fiancheggiatore della destraccia». Ma la confusione è evidente anche nella struttura del testo, priva di un ordine logico e cronologico, costruita come mera giustapposizione di pezzi slegati e cuciti da lunghi virgolettati altrui, in modo che Scanzi possa riempire le pagine quando non ha niente da dire (cioè, sempre).

Viene fuori un mero catalogo di casi, apparentemente esemplari ma in realtà insignificanti, di presunti fascisti locali, dal consigliere che indossava la divisa delle SS a una festa di Carnevale al politico "reo" di chiedere l'intestazione di una via ad Almirante, dai candidati colpevoli di avere tatuaggi sospetti ai politici il cui torto è avere cognomi "sbagliati", vedi Rachele Mussolini, nipote del Duce e perciò degna di denigrazione. Non riuscendo a partorire uno straccio di discorso argomentato e leggibile, lo sfascistone della logica e della bella scrittura Andrea Scanzi preferisce dedicarsi all'arte che gli riesce meglio: insultare, morti e vivi. Se Benito Mussolini gli appare «un tizio caricaturale brutto come la fame», Giorgia Meloni viene descritta mentre impreca «tra un urlo pesciarolo e l'altro», ovviamente «stravolta dalla rabbia e quasi trasfigurata», dopo che «ha frignato e ha delirato». Gli stessi "apprezzamenti" Scanzi li riserva a «quella sagoma di Donzelli», deputato di Fdi, all'attuale governatore delle Marche, il meloniano Acquaroli per cui «qualcuno userebbe la poco garbata immagine "la faccia come il culo"», a Fratelli d'Italia che è «più una fogna che un consesso partitico»; e a esponenti culturali di destra, come gli editori Francesco Giubilei e Daniele Dell'Orco (a loro, come agli altri, la nostra solidarietà), liquidati immotivatamente e senza alcuna conoscenza della loro attività come «giovani fascistelli in erba travestiti da para-intellettuali».

 

 

LE PROPOSTE
Quando non offende e prova a sviluppare una teoria, Scanzi invece è un disastro. Alla fine del libro suggerisce un «manuale di resistenza» in dieci punti su come scongiurare il ritorno del fascismo. Ma le sue proposte sono imbarazzanti per pochezza intellettuale. Scanzi distilla banalità comunicative, tipo «fare squadra», «informarsi», «avere memoria», per poi giungere alla conclusione che l'unico modo per salvarsi è votare Pd o 5 Stelle. A un certo punto, arrivato al decimo punto, siccome non sa più che dire, Scanzi ripete il primo: «fare squadra». Un po' come se Dio, in crisi di creatività, al decimo comandamento avesse ripetuto «Non avrai altro Dio all'infuori di me». È vero, Scanzi non è Dio, ma il dramma è che crede di esserlo. P.S: Nella prima edicola in cui abbiamo provato a procurarci il libro ci è stato detto che le copie erano già esaurite. Pensavamo che il testo fosse andato a ruba. Invece no, parola di edicolante: le aveva comprate tutte Scanzi.

 

 

 

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