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Giuseppe Provenzano, l'ex ministro Pd che sparge odio sui rivali: un randellatore fuori dal tempo

Alessandro Giuli
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Il democratico Provenzano Giuseppe da Caltanissetta è un tipo tosto. Pur essendo nato nel 1982, quando la nazionale di calcio italiana vinceva i Mondiali di Spagna, la sua anima è un puro relitto novecentesco, ma di bel conio siciliano. Lui il comunismo l'ha assimilato dai libri e dalla sapiente lezione del suo grande mentore Emanuele Macaluso, il migliore fra i miglioristi del Pci. Ma poi, come spesso capita, l'allievo scavalca il maestro e nel caso di Beppe - come si fa chiamare lui - diventa un massimalista fuori tempo massimo: il promettente portavoce delle istanze meridionaliste, già ricercatore allo Svimez, fa squadra con il potente laburista Andrea Orlando e guadagna il ministero per il Sud e la coesione territoriale nel governo ribaltonista (Conte bis) sostenuto dai giallorossi. Si fa strada, Beppe, rosso nel cuore e nella chioma e nella barba che lo invecchia bene, cavalcando temi sociali con la supponenza del secchione televisivo dai toni assertivi. Emana una certa freddezza da intellettuale organico, ma nella sostanza i suoi messaggi bucano lo schermo e lo qualificano come un genuino prodotto di antica scuola partitica. Polveroso il giusto, mai stazzonato però, più che da un film operaista di Ken Loach sembra sbucato dagli scaffali della versione aggiornata d'una biblioteca delle antiche Frattocchie. Come un D'Alema minore.

 

 

ANATEMA
Di recente è salito agli onori della cronaca nera politica per aver armato un plotone d'esecuzione stalinista contro i Fratelli d'Italia e la loro leader Giorgia Meloni, colpevole a suo dire di non aver sconfessato a sufficienza l'orribile assalto forzanovista al santuario della Cgil nel corso di una manifestazione No-Pass. Avrebbe potuto, il giovane Beppe, utilizzare un frasario dolente e istituzionale, ha preferito invece dilatare in modo iperbolico l'anatema anti missino che condannava Giorgio Almirante e i suoi seguaci fuori dall'arco costituzionale: «Meloni aveva un'occasione: tagliare i ponti con il mondo vicino al neofascismo, anche in FdI. Ma non l'ha fatto. Il luogo scelto (il palco neofranchista di Vox) e le parole usate sulla matrice perpetuano l'ambiguità che la pone fuori dall'arco democratico e repubblicano». Boom! Scavalcando per eccesso di foga le intenzioni (comunque assai contundenti), ha finito per invocare implicitamente la messa al bando del primo partito italiano nonché unica opposizione parlamentare alla maggioranza monstre che sostiene Mario Draghi a Palazzo Chigi. Al che perfino i suoi colleghi gli hanno ricordato che una cosa è l'arco costituzionale rappresentato dai partiti costituenti nel secondo dopoguerra, altro è il perimetro demo-repubblicano in cui per primo Palmiro Togliatti volle ricomprendere i post fascisti. Perfino il compiacente suo maestro Macaluso, al cospetto di tanta ingenuità, gli avrebbe elargito uno scappellotto. Perché queste sono sgrammaticature politiche forse perdonabili in un quisque de millennials, ma non certo in un giovane politico che si candida a personificare il nuovo corso della sinistra italiana.

 

 

NUMERO DUE
Già, ma quale sinistra... Provenzano è anche vicesegretario di Enrico Letta nel Partito democratico, sicché ha temporaneamente abbandonato la lotta di classe per abbracciare la causa persa della lotta di genere effigiata dallo sfortunato ddl Zan affossato in Senato (una prece), con tanto di coda fratricida culminata nel processo ai deviazionisti renziani. Ma si capisce che non palpita in lui alcuna voluttà personale nella legittima ma sconclusionata battaglia sui diritti civili che distoglie l'attenzione dai temi fondamentali dal suo orizzonte: allestire «un campo progressista e democratico, aperto, largo, plurale» contro «le peggiori destre europee» e per «un Sud libero, anche dal ricatto del bisogno». Già, ma come? Beppe è un figlio del suo tempo, caratterizzato dal bispensiero orwelliano in omaggio al quale a sinistra un giorno si è in guerra e quello dopo si è alleati con il nemico/amico grillino: quando i pentastellati stavano al governo con la Lega erano i traditori di classe; oggi sono diventati una costola del Pd a trazione socialista impegnato contro quel "neoliberismo" che però, guardacaso, trova nel sardonico premier Draghi il proprio volto apicale e nel partito di Matteo Salvini un contrafforte riluttante ma di peso. E tuttavia per un post marxista come Provenzano questi sono soltanto accidenti della storia, dettagli di un percorso che l'astuzia della ragione provvederà a scavalcare quando i tempi saranno maturi affinché il sol dell'avvenire torni a sorgere. A sud, naturalmente. 

 

 

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