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Umberto Galimberti, lo sputo in faccia del filosofo: umilia la figlia di Giorgia Meloni, nessuno alza un dito

Renato Farina
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C'era un servizio televisivo. Bandiere spagnole, folla entusiasta. Ed ecco Giorgia Meloni sul palco. La ascoltiamo dire: «Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre, soy italiana, soy cristiana». Nello studio di La7 c'è un comitato di anatomo-patologi per sezionare questa donna dal vivo, corpo e anima. Subito Concita De Gregorio che conduce In Onda, interpella lo psicanalista Umberto Galimberti, ospite in trono, che immediatamente sentenzia: «Quando dice "io sono madre", mi verrebbe voglia di non essere suo figlio; e se fossi cristiano vorrei essere ateo». Eh? Che ha detto? Ha detto davvero questa roba qui? Come se Giorgia fosse la mamma assassina dei piccoli Goebbels? Stupore in sala. David Parenzo, che affianca la De Gregorio, accenna una reazione, ma viene bloccato dopo tre parole di distinguo dalla De Gregorio. La quale ridà voce al bastonatore di madri, che non arretra, anzi: «Non si dicono quelle cose lì, è ferocia».

 

 

 

Nessuno fa girare indietro il nastro, per risentire quelle frasi. Né c'è chi gli faccia raccogliere da terra l'immondizia delle sue parole o si limiti ad un «ma si rende conto di quel che ha detto?». Chiunque capisce che quell'espressione di esordio è uno sputo in faccia, e pure peggio. Equivale a dire: una così non deve essere madre, disgraziato suo figlio o figlia, sarebbe meglio non esser nato. Invece, non succede nulla. Ci si inchina al gran maestro del pensiero unico, filosofo ufficiale di Repubblica, invitato in qualsiasi emporio di comunisti, cattolici, benpensanti e malpensanti, a cui spiega da anni il senso della vita. Perciò si glissa, si deve glissare. Questo in trasmissione. E a filmato circolante sul web idem. Nessuno psicanalista o psicoterapeuta si dissocia, loro che litigano con il coltello tra i denti su una frase di Lacan o Jung. Non c'è un solo commentatore filosofico dei quotidianoni che eccepisca a queste idiozie.

 

 

 

Be', noi non lasciamo perdere. Il professor Umberto Galimberti ha detto una bestialità da social in diretta televisiva. Nessuno qui vuole impiccare un uomo a una frase. Questa semmai è la specialità degli scotennatori da cancel culture. Per costoro basta che, magari citando Flannery O' Connor, ricordi "Il negro artificiale", il suo più bel racconto, e sei un morto che cammina; prima ancora di dire un'altra sillaba per spiegarti, sei sbattuto fuori dal consesso civile. Del resto, a volte, quando si detesta particolarmente qualcuno, i freni inibitori saltano, e la bocca butta fuori direttamente dalle viscere, il veleno di cui un istante dopo ci vergogniamo, neppure sapevamo di custodirlo nei recessi. Càpita. Però Galimberti lo ammetta, si dia del cretino da solo, e lo confessino gli altri intorno a lui, magari alla prossima ospitata, che quelle parole sono infamanti e innaffiano la gramigna dell'odio. Accadrà? Impossibile. 

 

 

 

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