Benito Mussolini, il Duce sprecato nella dittatura: abbiamo perso un grande giornalista
Gli alleati e Stalin, i ritratti di Badoglio e del Re, l'analisi dei mercati finanziari e i voltafaccia di Gentile, il Re e Stalin: nelle corrispondenze (alcune inedite) da Salò Mussolini torna giornalista
Quando si dice l’importanza di saper fare un secondo lavoro. C’è un momento -dal 28 settembre del 1943 al 22 aprile ‘45 – in cui l’Italia del fascio va a ramengo, gli Alleati risalgono lo Stivale, Hitler sull’orlo di una crisi di nervi chiede di aprire una Repubblica Sociale nel nord Italia, come fosse la succursale d’una locanda berlinese; ed è in quel preciso periodo che Benito Mussolini, perso l’impiego da dittatore, torna a fare quel che gli riusciva superbamente, il giornalista. Ché è sempre meglio che lavorare.
Il Duce, fuggito dal Gran Sasso, appena tornato dalla Germania, resta spiazzato dal tradimento dei “suoi” ma soprattutto dal mutato Spirito del tempo. Sicché decide di tornare quasi appieno al vecchio mestiere che aveva sospeso dai tempi della direzione dell’Avanti. “E vi tornò attraverso una formula per lui inedita di collaborazione alla stampa della Repubblica Sociale: le note di agenzia”. Così lo storico Giuseppe Parlato introduce le centodue note/articoli mussoliniani –di cui tre assolutamente inedite- riproposte nel libro da lui curato Corrispondenza Repubblicana (pp 530, euro 28) uscito per Luni editore di Matteo Luteriani) e presente al Salone di Torino. Trattasi di scritti destinati alla radio e alla stampa che Mussolini nella maggioranza dei casi scriveva direttamente, e poi infilava nella bocca del cannone dell’Agenzia Stefani; oppure faceva scrivere ad alcuni collaboratori del Ministero della Cultura Popolare, sempre sotto sua dettatura. “Sono testi raccolti per la prima volta nel ’60 nell’Opera omnia del Duce, poi spariti, e sono straordinari per vari motivi” ci dice l’editore Luteriani “erano letti alla radio in un tempo in cui nessun giornale aveva più corrispondenti e in cui Mussolini affermava che governare gli italiani fosse inutile. Così ne sortiscono analisi, soprattutto di politica estera, che ebbero grande successo”. Di fatto, nel vuoto di servizi giornalistici, di notizie e di commenti, il Duce per sostenere mediaticamente le ragioni dalla Rsi, si rimette voracemente alla macchina per scrivere. Ne esce un Benito cronista sconsolato ed editorialista dissacrante con la voglia di “uscire da questo abisso” seppur “con le ossa rotte”; e sempre pronto a sventagliare una prosa sarcastica e fulminante, ispirata al modello dei Futuristi, tesa a perculare soprattutto i suoi nemici interni e a commentare i movimenti delle nazioni sullo scacchiere internazionale.
Spiccano –si diceva- i tre articoli inediti. In quello intitolato La finanza i risparmiatori e il governo Badoglio, Mussolini massacra l’autore del “colpo di Stato” e ne quantifica lo stesso tradimento attraverso il crollo dei mercati internazionali. “Il vecchio accumulatore di assegni e di prebende ha trovato una certa corrispondenza in alcuni dei finanzieri e dei ricchi italiani. Diciamo alcuni, perché la massa che non è mai troppo vasta, ha avuto prove che l’ordine instaurato dal fascismo era una tutela per il libero godimento della ricchezza accumulata per lavoro”, scrive il Duce all’insegna del “quando-c’era-lui-caro-lei”. Aggiungendo, inoltre sul crollo dell’economia: “I ritiri dei depositi dalla banche, Casse di risparmio e postali dal giorno dello sbarco in Sicilia in poi avevano assunto un ritmo accelerato, senza però mai prendere l’aspetto di panico (…) Lunedì 26 luglio a memoria d’uomo non si ricordavano file così lunghe a concitate agli sportelli dei prelievi….La fiducia è scomparsa. I mercati finanziari hanno accolto con apatia ogni mossa dell’incompetente –oltre tutto- governo Badoglio”. Nel secondo inedito, Senza titolo, il Duce si pregia di scorticare vivo Giovanni Gentile (ma anche Benedetto Croce tra gl’intelletuali divenuti da fascisti ad anti-fascisti “il giorno dopo”): “Nel coro della tragi-commedia che si svolge in quel di Napoli non mancano altri personaggi. Ad esempio Benedetto Croce, il quale declina il grande e anche il piccolo posto. Gli basta di essere il filosofo ufficiale del nuovo governo a capo del quale starebbe un famoso giurista, tale Francesco Salvaggi detenuto a Roma e che nessuno –almeno sin qui- ha mai sentito nominare”
Nel terzo inedito Ancora Mosca, poi, Mussolini attacca gli Alleati che se la fanno con Stalin: “In questi giorni molto fosforo cerebrale viene distillato molto inchiostro di calamai e di rotative viene consumato per commentare la conferenza di Mosca. Oggi Stalin non porta più il berretto da operaio bensì quello da Maresciallo: tuttavia, salvo poche concessioni di carattere tattico la sua dottrine è quella del grande profeta Lenin cioè anti-capitalista, anti-democratica, anti-liberale e perfino anti-socialista”. L’ex dittatore non sopporta l’alone di libertà di cui il collega dittatore sovietico ama circonfondersi, e ironizza: “Camerata, anzi compagno Maresciallo Stalin (e non ridete –prego- sotto i vostri fotogenici baffi da georgiano) siete voi sicuro, veramente sicuro, che esistano nelle vostra Russia quelle libertà, anzi una sola, diciamo una sola, di quelle libertà che voi volete prodigamente elargire all’Italia? Ma per chi ci prendete? (…) Non avete voi accoppato e fatto accoppare a migliaia anzi a milioni tutti quelli che in un modo o nell’altro si sono opposti al vostro stato? La vostra non è stata e non è ancora la più sanguinaria delle dittature?”. Diciamo, per essere precisi, una delle più sanguinarie, dato che il Duce evita accuratamente di evocare il nome di Hitler. E critica sì Stalin, ma in fondo ne è attratto perché il sovietico era riuscito a realizzare quella rivoluzione che al Duce era sfuggita di mano.
Tra i bersagli di Benito spiccano, inoltre: il re fellone «Vittorio Emanuele III e ultimo»; e Carlo Sforza «guitto dell’avanspettacolo»; e il sempiterno Badoglio «duca di Caporetto»; e Roosevelt «l’anticristo del XX secolo» nonché «criminale di guerra n. 1» in accoppiata con Churchill «criminale di guerra n. 2». Senza contare tutta la pletora di giornalisti e generali, “fino al giorno prima da lui foraggiati e ora passati al nemico”. Naturalmente le Corrispondenze repubblicane sono preziose soltanto storicamente; e il contenuto è quanto di più avverso al concetto di “repubblicano” esistente in natura. Ma il contenitore, la prosa di Mussolini possiede una fluidità montanelliana che inciampa nel sarcasmo di Longanesi. Peccato si sia sprecato nella dittatura, abbiamo perso un grande giornalista…