Aldo Cazzullo su Mario Draghi: "Ecco che fine gli farebbe fare Dante Alighieri"
«L'uomo non è cattivo; è egoista, ma può essere indotto albe ne se questo lo fa sentire migliore». Per questo "Il posto degli uomini", seconda fatica letteraria di Aldo Cazzullo dedicata alla Commedia dantesca, è il Purgatorio, dove le anime dei morti scontano i loro peccati ma le sofferenze sono lenite dalla speranza e dall'attesa del Paradiso, luogo del bene assoluto. Uscito da meno di un mese, il libro arriva l'anno dopo A riveder le stelle, 250mila copie vendute, il romanzo nel quale l'inviato del Corriere della Sera racconta l'Inferno e, come prevedibile, è già un successo. «Perché Dante è il padre dell'Italia» spiega Cazzullo, «è l'unico nostro letterato conosciuto in ogni parte del mondo, il creatore della nostra lingua, il primo a definirci il "Bel Paese" e l'inventore di espressioni come "siamo a buon punto", "avere un piede nella fossa", "visione estatica" e di parole meravigliose come "antelucano" o di penitenza come "dieta"».
«Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello». Nel Purgatorio, VI canto, c'è una condanna inappellabile. Cosa penserebbe oggi Dante dell'Italia?
«Senza dubbio che in oltre settecento anni non è cambiato nulla. L'invettiva di Dante si scagliava contro un Paese diviso, feroce con gli sconfitti, dove solo i mediocri fanno politica, i capi cambiano di continuo senza che nulla cambi e una legge fatta a ottobre viene ritoccata a novembre. E non aveva ancora visto l'uno vale uno, i parlamentari nominati, la parabola di Renzi, i dpcm di Conte».
Si arrabbierebbe?
«Certo perché era un passionale e un fervido innamorato dell'Italia; anche se era alquanto ironico e aveva una dote che oggi a molti uomini pubblici manca, quella del perdono».
Alla faccia del perdono, infliggeva pene piuttosto pesanti...
«In effetti Dante era molto severo nelle condanne. Quando incontra Filippo Argenti, che lo schiaffeggiò in piazza a Firenze, lo umilia senza pietà: "Con piangere e con tutto, spirito maledetto, ti rimani; ch' i ti conosco ancor sie lordo tutto...". Però riconosceva il valore del perdono edel pentimento: il destino di un uomo si gioca nel suo cuore. Dopo la battaglia di Montaperti, una sorta di Caporetto per Firenze, il senese Provenzano Salvani ordina di risparmiare i prigionieri tranne i nati nella città di Dante. E ciononostante lui non lo mette all'Inferno ma in Purgatorio, perché ebbe la forza di chiedere l'elemosina in piazza per riscattare un suo compagno d'armi, salvando così la sua anima».
L'Italia di Dante era spietata...
«Italiani brava gente è uno slogan che non ha riscontro nella realtà. Noi pensiamo di essere uomini di cuore, un po' melodrammatici, come nella sceneggiata napoletana, ma invece siamo un popolo tragico e feroce: non abbiamo un rapporto maturo con il potere, perché non crediamo nella politica e nello Stato. Il Palazzo di Giustizia diventa il Palazzaccio, il poliziotto lo sbirro...».
Perché, il nostro Stato è credibile?
«Pare che si industri a confermare i pregiudizi che gli italiani nutrono nei suoi confronti. Pensa a Craxi: quando Scalfari lo paragonò a Ghino di Tacco, il bandito che chiedeva il pizzo a chiunque passasse da Radicofani, sulla Cassia, la via diretta per la Capitale prima che Fanfani facesse deviare l'autostrada del Sole costringendola a passare per Arezzo, il leader socialista anziché indignarsi iniziò a firmarei propri editoriali sull'Avanti con il nome del fuorilegge toscano».
Ghino di Tacco è in Purgatorio, Craxi gli italiani l'hanno spedito all'inferno...
«È il destino di molti nostri leader: Mussolini appeso a testa in giù, Moro nel bagagliaio della Renault, Andreotti a processo per mafia, Mattei fatto esplodere in volo. Noi i leader li sappiamo blandire o abbattere, mai sostenere o criticare».
È quel che cercano, i signorsì...
«È il loro punto debole, ma noi li abbiamo abituati male: gli italiani al comando non vogliono una guida, un Virgilio, ma un padrone; da qui la girandola di innamoramenti e disillusioni».
Che cosa cerca Dante invece?
«Lo dice: "Libertà va cercando ch' è sì cara. Per lui la libertà è il più grande dono che Dio ha fatto agli uomini. Però aveva una concezione diversa della libertà rispetto alla nostra: per lui libertà è far quel che si deve non quel che si vuole».
Ma così non vale...
«In questo risiede la profonda, la più grande se non l'unica, differenza tra la società di Dante e la nostra: a quei tempi avevamo la certezza dell'aldilà, la paura della pena eterna, la speranza della salvezza. Questo possiamo invidiare al poeta e anche agli antenati: i miei nonni erano certi dell'esistenza di Inferno, Purgatorio e Paradiso come del fatto che il sole sorge e tramonta».
Qual è il peccato che Dante non sopporta?
«Sprecare la propria vita. Dante non tollera gli ignavi, relegati all'Inferno, e gli accidiosi, in Purgatorio, quelli che stanno nella zona grigia senza schierarsi: sono condannati a correre a perdifiato urlandosi l'uno con l'altro di non perdere tempo».
Quanto accaduto a Morisi, lo spin doctor di Salvini nei guai per un festino omo di droga e sesso è un contrappasso dantesco?
«Il male che hai fatto ricade su di te; questo è il contrappasso. Ma la punizione è diritto di Dio e non degli uomini per Dante, capace di pietà grande verso le anime punite: davanti a Paolo e Francesca sviene».
"La gloria di colui che tutto move...". Dante amerebbe Draghi?
«Ma quel versetto apre il Paradiso, il libro tratta del Purgatorio».
Solo i santi non passano per il Purgatorio: Dante metterebbe Draghi subito in Paradiso?
«Draghi ha già troppi laudatori e anche soltanto per questo Dante non s' accoderebbe agli elogi. Nel momento in cui accetti di far politica, metti in conto qualche secolo di Purgatorio. Dante manda in Purgatorio tutti i principi e i re d'Europa».
Anche Draghi, che ora ha il massimo consenso, è destinato a stancare in fretta?
«Ma lui non sta cercando di affermare la propria personalità».
Dante ce l'aveva coi tedeschi...
«"Oh Alberto tedesco ch' abbandoni costei... giusto giudicio da le stelle caggia sovra 'l tuo sangue...". L'invettiva contro l'imperatore che lasciava al suo destino l'Italia in preda a lotte intestine anziché "Inforcar li suoi arcioni" e occuparsene. Non ce l'aveva con i tedeschi, era per l'impero, una sorta di unità europea, ma era pure un geloso difensore delle libertà comunali e aveva una chiara idea dei valori italiani».
Una sorta di leghista ante-litteram o di patriota meloniano?
«Le categorie politiche di allora sono troppo diverse da quelle di oggi. Se dovessi avvicinare la visione dantesca a quella di un politico moderno, evocherei Ciampi, che diceva di sentirsi livornese, toscano, italiano ed europeo».
Ma è un'utopia: perché non anche appartenente all'universo?
«Fino a un certo punto: Dante ha saputo rendere universali Firenze e l'Italia, per questo è ancora attuale e alcuni suoi personaggi sono ancora tremendamente vivi: pensa a Pia de' Tolomei, che resta in scena sei versi ma ha costretto perfino Marguerite Yourcenar a scrivere di lei».
Dante era consapevole della propria grandezza letteraria?
«Si colloca tra i superbi, costretti a procedere sotto il peso di enormi macigni che li schiacciano. Aveva il desiderio di onori e gloria, che sentiva di meritare, e al contempo la consapevolezza della loro vacuità».
In cosa lo abbiamo tradito?
«Non abbiamo fatto tesoro del suo insegnamento e siamo rimasti opportunisti, cattivi e divisi, scostanti ma costanti nella voglia di non cambiare. Sono difetti della natura umana, ma in Italia il bello è più bello e il brutto è più brutto».
Se siamo rimasti così dopo settecento anni significa che è una questione di dna non di storia...
«Forse perché siamo un Paese misterioso e lungo».
Come sono gli italiani oggi?
«Come Dante sulla montagna del Purgatorio: puri e disposti a salire alle stelle. La pandemia, con i suoi gravi errori, è stata la prova della vita e l'abbiamo superata».
Cosa può fermarci?
«Il narcisismo e un po' di sfiducia. I nostri padri, che hanno ricostruito l'Italia, credevano di più nel lavoro. Per Dante il narcisismo è l'amore inutile. Noi guardiamo solo il nostro ombelico: postiamo sui social quel che mangiamo e, quando constatiamo che agli altri non interessa nulla, ci sentiamo umiliati e insultiamo tutti, trasformando il nostro malessere in odio da social».
Modello no vax?
«Non vanno sopravvalutati, sono una minoranza. Dei no vax non mi piace l'aspetto individualista, non concepiscono che si possa fare qualcosa anche nell'interesse degli altri, non solo proprio e dei famigliari».
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