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Tomaso Montanari cancella le Foibe, si prende la poltrona e fa pure la vittima: sinistro senza pudore

Renato Farina
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Tomaso Montanari ieri si è insediato come rettore per nulla magnifico dell'università di Siena per stranieri. Ne ha approfittato per celebrare modestamente sé stesso, vittima di «un accanito linciaggio mediatico» ad opera di quelli che nei giorni scorsi aveva definito «fascisti, postfascisti, neofascisti, criptofascisti, filofascisti» del nostro tempo. Costoro (quorum ego) avevano chiesto le sue dimissioni per indegnità dopo che aveva sfregiato la «Giornata del ricordo», definendola frutto di una «falsificazione storica». E così nel suo giorno di gloria ha incredibilmente cercato l'applauso degli infoibati, sicuramente contenti di essere stati ammazzati da chi marciava indomito dalla parte giusta della storia, trasformati in piedistallo del monumento all'antifascismo di ieri oggi e domani che il professore ha scolpito con la sua fuffa retorica. Per lui infatti difendere gli stragisti è stata una cerimonia religiosa, con la sua liturgia: «Siamo una comunità antifascista», ha ripetuto più volte. Ma che razza di antifascismo è? Un antifascismo che coincide con l'apologia dello stragismo che ha infestato il Friuli Venezia Giulia. Prima con la strage di Porzûs premeditata dalla dirigenza del Pci e condotta dai partigiani comunisti contro 20 combattenti patrioti e cattolici della Brigata Osoppo, dai bei fazzoletti verdi; e poi con la pulizia etnica condotta dall'esercito titino con la collaborazione dei compagni togliattiani per annettere alla Jugoslavia bolscevica il nostro Nord-Est.

 

 

 

CHE ANTIFASCISMO È?

Le foibe furono parte di questa strategia. Che continua in altri modi a Siena sotto la guida del sub-comandante Tomaso. A questo punto si comprende che l'articolo del 28 agosto su Il Fatto non è stata una escursione casuale fuori dai temi dell'arte a lui consueti, ma una sorta di manifesto programmatico, nella forma della provocazione a freddo. Si trattava di impugnare la bandiera rossa per riprendersi il forino dell'interpretazione della storia, senza fare prigionieri. Scrisse appositamente fuori stagione: «La Giornata del ricordo (delle stragi e dell'esodo dall'Istria, 10 febbraio, ndr) a ridosso e in evidente opposizione a quella della memoria (della Shoa, 27 gennaio) rappresenta il più clamoroso successo di questa falsificazione storica». Non ripete quelle parole, stavolta, le aggiusta, falsificando sé stesso. Allora condannò il ricordo sancito da una legge della Repubblica, punto. Adesso si minimizza, fa dell'auto-revisionismo, sostenendo: «Era un discorso per le vittime delle foibee contro l'uso politico di chi le celebra a braccio teso e con la svastica sul braccio». Sono stato in dieci scuole e in vari consigli comunali in questi anni. Mai viste scene simili. Piuttosto c'era chi, tra i nostalgici, cercava di limare i numeri, di negare la complicità dei connazionali. Al centro del suo discorso inaugurale, Montanari ha pertanto collocato le foibe alla sua maniera assolutoria degli stragisti. Ci si è seduto sopra. Non ha menzionato l'eccidio per inchinarsi davanti alle migliaia di italiani infilati a testa in giù nelle cavità carsiche per agonizzarvi atrocemente. Ma solo per rivendicare la propria personale persecuzione a causa della sua volontà di ripristinare la banalità della loro morte, alla fine non celebrabile, perché se lo si fa si danneggia la causa marx-leninista, che ha bisogno di omertà, annacquamenti: si chiama realismo socialista, roba da anni 30 dello scorso millennio in Urss, e da anni 20 del nuovo millennio in Italia, con l'invenzione di un pericolo nazifascista utile per delegittimare chi non è di sinistra.

 

 

 

PAROLE COME PIETRE

Incredibile ma è così. Montanari sì che è stato una vittima da celebrare ieri a Siena domani nel mondo. Che sarà mai l'infoibamento per altro praticato da partigiani con alti ideali, rispetto alle sue pene di martire vessato dai fascisti: «Nelle scorse settimane, per aver espresso un punto di vista culturale, per aver ammonito sulle conseguenze della manipolazione politica della storia, per aver denunciato la strumentalizzazione politica delle vittime delle Foibe, ho dovuto subire un accanito linciaggio mediatico». Ma va' là. In realtà, carta canta, Montanari ha pugnalato il ricordo delle vittime, definendolo falsificazione. Le parole sono pietre, e qualche volta dovrebbero cadere in testa a chi le tira contro la verità. Invece le autorità dello Stato applaudono la vittoria meschina di Montanari. All'intronizzazione erano presenti le maggiori istituzioni cittadine e regionali, tra cui il governatore Eugenio Giani. Erano esibiti i gonfaloni di Regione Toscana e Provincia di Siena, Magistrato delle Contrade e la Balzana di Siena. Il sindaco Luigi De Mossi ha dignitosamente disertato questa pagliacciata. Alla fine, dicono le cronache, «Bella Ciao risuona in aula magna». Bisognerebbe portare più rispetto a questo inno, accidenti. 

 

 

 

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