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Giorgio Parisi, il ritratto del premio Nobel per la Fisica che prova a riordinare il caos

Giorgio Parisi Nobel per la Fisica

Premiato lo scienziato romano per gli studi sui sistemi complessi. Entra nella storia il fisico più stimato al mondo, tra 600 pubblicazioni e l'impegno contro i tagli all'università e per la meritocrazia. Quella volta che in tv, sul Covid, con Bassetti...

Francesco Specchia
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C’erano momenti in cui il professor Giorgio Parisi si divertiva – un gesto di elegante goliardia e un sorriso un po’ perculante - a piazzare gli ospiti nel suo ufficio di presidenza ai Lincei nell’angolo con l’affaccio sulla statua di Garibaldi. Mentre li faceva accomodare, discettando di Bosone di Higgins, di scala atomica e di particelle elementari, il prof apriva le finestre, finché, all’improvviso non esplodeva il famoso colpo di cannone del Gianicolo a mezzogiorno; e gli ospiti, paonazzi, sobbalzavano sulla sedia. Trattasi di un esprit da Amici miei, mescolato a quella frenesia da movimento che gli viene dall'essere un sedicente provetto ballerino di salsa e baciata..

Chissà se Parisi avrà avuto lo stesso sobbalzo dei suoi ospiti, quando, ieri, il telefono è squillato per informarlo, dalla Svezia, che aveva vinto il Nobel per la Fisica (assieme ai padri dei modelli climatici, il giapponese Syukuro Manabe e il tedesco Klaus Hasselmann) per i suoi contributi «alla comprensione dei sistemi fisici complessi». Spiegare i sistemi complessi è molto complesso, lo dice la parola stessa. Diciamo che Parisi, 73 anni, vagamente somigliante all’attore Geoffrey Rush, romano vissuto in giro per il mondo, ha avuto una carriera stroboscopica con un cursus honorum lungo un braccio. Parisi, di fatto, studia il caos e tenta di dargli ordine. Ha primeggiato nell’analisi di argomenti vari e accomunati dall’essere “complessi”, appunto: dalle interazioni fra i neuroni del cervello, che lo hanno portato a occuparsi di reti neurali e intelligenza artificiale; al comportamento dei singoli uccelli negli stormi in virata; e, perfino alla materia irrequieta del vetro (dice il prof che il vetro «è composto da tante particelle di natura diversa che devono integrarsi fra loro. Anche il cervello è formato da neuroni molto variegati a cui serve lavorare in modo connesso. Capire come ogni parte di un sistema complesso si collega con le altre è fondamentale, ad esempio, per sviluppare l’intelligenza artificiale»). 

Giorgio Parisi è uno scienziato dall’eclettismo innaturale. Dicono, scherzosamente, che possegga il rigore di Enrico Fermi e la foga di Che Guevara. È sempre in prima linea per le battaglie sui tagli all’università e sulla valorizzazione della meritocrazia, concetti che tenta di instillare da sempre ai suoi due figli. Studia la fisica quantistica e la teoria dei campi grazie alle quali - e alle sue 600 pubblicazioni- un mese fa, entrò nella classifica della Clarivate Ciattion la cerchia degli scienziati più citati al mondo; ma non è un topo di laboratorio, anzi ha doti riconosciute di divulgatore. Eccelle nelle analisi degli acceleratori di particelle. Si occupa di robot, di clima e di supercomputer. Il Cnr, centro nazionale delle ricerche lo ringrazia con commozione per il suo apporto militante alla ricerca e «per il suo contributo fondamentale alla base di tante linee di ricerca del Cnr, dallo studio dei sistemi vetrosi, dei sistemi di lasing e trasmissione della luce in mezzi random, alle reti metaboliche, alla biofisica». E, qualunque cosa significhi, suona benissimo. Parisi è uno dei sei premi Nobel per la Fisica della storia del Premio; ma è l’unico che l’ha ottenuto rimanendo a lavorare in Italia, sgomitando nella palude. Con Carlo Rubbia e Michele Parrinello poi è stato l’unico fisico italiano membro della National Academy of Sciences degli Stati Uniti d’America.

L’aggettivo “trasversale” gli s’attaglia alla perfezione. Per il grande pubblico Parisi, più docente di fisica teorica alla Sapienza o ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, è stato il presidente della prestigiosa Accademia dei Lincei e, soprattutto uno dei massimi lettori di dati analitici di Covid in tv. In una memorabile puntata de L’aria che tira su La7 fu protagonista di una vivace polemica con l’infettivologo Matteo Bassetti il quale tentò malamente di cazziarlo mentre lui spiegava che il calo dei contagi in Inghilterra era dovuto, in primis, alle misure restrittive e al lockdown e soltanto in seconda analisi ai vaccini. 

Dall’alto della sua autorevolezza Parisi ritiene che, oggi, la scienza sia sottovalutata come una sorta di serva della gleba al servizio della tecnologia (che pure “dalla scienza è determinata”). Ha una sua idea particolare e inappuntabile dei No-Vax: «Sono una piccola parte, resteranno il 10-15%. Ma dimostrano che non abbiamo saputo spiegare a tutti come funziona il nostro metodo. Non c’è ricercatore che abbia la verità in mano, o  studio scientifico che dia una dimostrazione definitiva. Esiste un consenso che si accumula gradualmente attorno a prove sempre nuove, con un meccanismo di autoregolazione che corregge gli errori. Il messaggio non è sempre passato, con la pandemia». E prosegue ad uso degli scettici: «Dall’altra è mancata una comunicazione efficace. In Germania un virologo molto qualificato sul Covid è diventato star di YouTube. Un ruolo simile sarebbe servito anche a noi». Parisi commenta il Nobel dicendo di «non esserselo aspettato» anche perché, nel 2008, aveva criticato l’Accademia di Stoccolma per non averlo mai assegnato al suo maestro Nicola Cabibbo. Ma quando ieri l’hanno chiamato in svedese ha risposto al primo squillo. I sobbalzi per il cannone del Gianicolo sono niente, al confronto…

 

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